LA FRATERNITÀ DELLA SPERANZA

Pubblicato il 08-09-2011

di Giuseppe Pollano

 

Il cuore pulsante del Sermig, in Italia e all'estero, è una Fraternità di persone che hanno detto un sì totale e senza condizioni all'amore per Dio e per i fratelli.

di Rosanna Tabasso

 

Negli anni Settanta, quando ci interrogavamo sul senso del nostro esistere, serpeggiava nel gruppo del Sermig di allora il pensiero che ad unirci fosse la scelta di classe, lo schierarsi con i poveri, la contestazione per la giustizia, l’affermare i diritti dei poveri; ma ad Ernesto Olivero avere qualche idea in comune e percorrere insieme un tratto di strada non bastava. Per lui il Sermig non era una sigla cui dare l’adesione con una tessera associativa, non era un impegno a tempo, era di più. Era il sì deciso di ognuno di noi per la vita. Un patto, un’alleanza tra noi e con Dio per rendere attuale la promessa di Gesù: “Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” e superare la frantumazione del nostro vivere con uno stile di vita evangelico: “Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune”.
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Arrivò l’Arsenale della Pace e per iniziare quest’avventura Ernesto ci chiese un sì totale e senza condizioni. Molti si tirarono indietro; il sì ancora ci poteva stare, ma quel “totale e senza condizioni” era davvero troppo forte. Non capivamo che quel sì non era il pallino di Ernesto ma una condizione che ci poneva Dio. A chi ti dà tutto - così la Scrittura ci parla di Dio - puoi solo rendere tutto. È un patto alla pari tra l’amore incondizionato di Dio e la libertà di risposta di cui siamo resi capaci. Chi lo ha compreso ne ha avvertito la bellezza e dai primi sì è iniziata la Fraternità della Speranza.

Il sì di ognuno di noi non è un’iniziativa personale, frutto della nostra buona volontà, è risposta ad una iniziativa di Dio che si fa presente, che ci chiama per primo: “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”. Ne seguono infiniti altri che giorno dopo giorno ci cambiano la vita, ci danno pienezza.
Il sì è personale, ma non è mai solitario. Un sì ne chiama altri e la Fraternità diventa il luogo della testimonianza. Non è un semplice strumento; è il luogo dove quotidianamente misuriamo la profondità dei nostri sì a Dio.

Ragazzi e ragazze, famiglie e consacrati ricerchiamo la Presenza di Dio nell’altro, tra noi perché “Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi”. Il sì a Dio non è mai disincarnato, è sempre un sì a qualcuno. Uomini e donne imparano a rispettarsi nella diversità, giovani e vecchi camminano con passo diverso aiutandosi a vicenda, famiglie si confrontano con consacrati, consacrati imparano a non tirarsi fuori dai problemi concreti della vita; bambini crescono e adolescenti trovano testimonianze che li aiutano a superare la criticità dei loro anni. La fraternità accompagna i nostri sì durante tutto l’arco della nostra vita, nei tempi forti e in quelli della fragilità. Solo l’amore tra noi attrae, dà speranza, risveglia nella gente la nostalgia di Dio: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”.

Padre Mario Nascimbeni, carmelitano che ci ha aperto alla Scrittura, il giorno che venne a vederci dentro l’Arsenale commentò: “Ora siete in vetrina”. Era proprio così. D’altra parte Gesù quando vuol farsi conoscere dai discepoli li invita semplicemente a seguirLo: “Vieni e vedrai”. Ricordo che, nei primi progetti di ristrutturazione dell’Arsenale, volevamo realizzare una grande stanza riscaldata da un camino, perché attorno al fuoco della Fraternità unita per amore tanti si potessero riscaldare il cuore. Quel camino non l’abbiamo realizzato ma l’Arsenale è per tanti un fuoco che scalda. Con tutti i nostri limiti e fragilità, con tutta la forza del nostro credere, cerchiamo di essere avvicinabili da tutti, consapevoli che il Vangelo passa attraverso la nostra persona e il nostro umile quotidiano.

Dom Luciano ci diceva spesso una frase che nella sua vita aveva sperimentato: “C’è più da piangere con chi piange che da ridere con chi ride”. Anche la nostra vita è così, ma pur nella fatica di stare a fianco di tanti che soffrono, sentiamo crescere in noi una profonda gioia di appartenere a Dio, così come siamo; gioia di sapere chi siamo e a cosa serviamo, gioia di vedere un problema diventare un’opportunità. La gioia non è frutto di ottimismo umano, è dono dello Spirito. Dove c’è lo Spirito c’è gioia. E la gioia accompagna sempre l’incontro a tu per tu con Dio. È il suo profumo inconfondibile.


SÌ A SAN PAOLO

Faccio parte della Fraternità della Speranza da diciotto anni. Nel 1991 avevo dato la mia disponibilità per aprire una casa di accoglienza nella mia città, Mondovì. Il progetto purtroppo non si è avverato, ma io ho continuato a frequentare il Sermig, un po’ perché mi trovavo bene, un po’ per vedere dove sarei andato a finire. Più andavo avanti, più mi rendevo conto che era il mio posto, sentivo di potervi spendere la mia vita dicendo sì a Dio. Le difficoltà non sono mancate, su tutti i fronti, e quando mi sembrava che fossero state superate, ecco la proposta di Ernesto per andare in Brasile, a San Paolo, ad aprire, con altri due amici, una casa: l’Arsenale della Speranza, a servizio degli uomini di strada. La proposta era per tre mesi di permanenza, sono passati tredici anni.

Molti amici mi chiedono se non sento “saudade” (nostalgia) dell’Italia, dell’Arsenale della Pace, della mia famiglia... Sicuramente la sento... ma per me è normale che oggi la mia attenzione, la mia vita, siano tra le mura di questa casa, dove il mio sì a Dio e alla Fraternità del Sermig deve spendersi ogni giorno. Con gli amici brasiliani facciamo parte di una stessa avventura: i nostri sì si confondono e crescono insieme, gioiscono e piangono, si aiutano e si sostengono. Tutto questo mi fa sentire parte di una cosa più grande di me, non mi sento l’italiano venuto in missione, ma solo uno strumento nelle mani di Dio. E allora il mio sì cerca di rafforzarsi per essere un piccolo segno in questo immenso Paese, in questa immensa città in cui siamo tutti nelle mani di Colui che ci ha voluti qui e continua ad accompagnarci.

Gianfranco Mellino

SÌ A MADABA

Penso che dire sì a Madaba non sia diverso dal dire sì in qualsiasi altra parte del mondo; in fondo si tratta solo di scendere nella verità di noi stessi, per renderci conto che il progetto che Dio ha su di noi è il miglior investimento per la nostra vita. E quindi, dargli carta bianca. La Giordania però da sempre è stata la terra del passaggio, il luogo dove si transita per uscire dall’Egitto ed arrivare nella terra promessa, il luogo dove il popolo è messo alla prova per capire se la sua fede è frutto dell’entusiasmo di un momento, o qualcosa di più. È una terra deserta, dove l’essenzialità è d’obbligo e porta a metterti a nudo, a venire fuori per quello che sei nel bene e nel male.

È stato così anche per me, ma come è stato per Israele, è proprio nel deserto che, se vai oltre lo smarrimento iniziale, puoi vedere la mano di Dio che fa scaturire l’acqua dalla roccia. Essere afferrati dalla Sua mano là dove non c’è nient’altro è un’esperienza che non puoi dimenticare e che ti fa ridesiderare ogni giorno di dirGli di nuovo: “Tu ci sei stato quando avevo bisogno, e ci sarai. Eccomi, voglio esserci anch’io”. E quest’esperienza profonda di Dio è quella che permette ogni giorno di rincontrarsi fra persone diverse, ma uguali, cristiani e musulmani, diversamente abili e non, arabi e stranieri, italiani come noi qui…

Claudia Graziano

Sermig – Fraternità della Speranza

Lo spirito che guida la Fraternità della Speranza è raccolto in “Sogno che fra cent’anni” di Ernesto Olivero (Effatà 2008). Vedi le due presentazioni:
Fiera del Libro 2008: Sogno che fra cent’anni
La Regola del Sermig: realismo, speranza, amore, di Giuseppe Pollano

Vedi anche:
PACIFICATI PACIFICHIAMO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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