La mia lotta per la pace

Pubblicato il 15-10-2022

di Renato Bonomo

In una Repubblica Centrafricana in piena guerra civile, ha scelto la via del dialogo e della pace; alle forze che chiedevano lo scontro armato e fomentavano l’odio ha ricordato che le religioni non possono essere usate per dividere e generare odio; alle profonde lacerazioni sociali e politiche ha opposto la fraternità e la non violenza.
Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui e cardinale, ha raccontato la sua storia all’Arsenale della Pace, presentando l’edizione italiana del suo libro La mia lotta per la pace, pubblicato dalla Libreria editrice Vaticana. Diedonné nasce nel 1967 in una famiglia povera di 10 figli in cui però respira un clima di ecumenismo quotidiano: suo padre è cattolico mentre sua madre protestante. A turno la sua umile casa ospita riunioni di entrambe le confessioni, sempre in un clima di accoglienza e di rispetto reciproco.

Ai figli è lasciata la libertà di scelta, Dieudionné sceglie il cattolicesimo perché incontra un missionario spiritano olandese, padre Leon, che gli scalda il cuore: vuole diventare come lui e vivere la propria esistenza spendendosi per gli altri.
Dopo il periodo di formazione sacerdotale in Camerun e in Francia, padre Dieudonné torna nel suo Paese e subito arrivano delle importanti responsabilità: prima amministratore apostolico della diocesi di Bangui e, dopo pochi anni, viene nominato arcivescovo. Deve affrontare importanti divisioni nella Chiesa, tensioni con le altre fedi e nella società. Il suo metodo si fonda sull’ascolto, sull’incontro e sul dialogo, sulla capacità di mettere l’altro al primo posto.

Nel 2012 e nel 2013 la Repubblica Centrafricana vive una delle pagine più drammatiche della sua storia: la seconda guerra civile. I ribelli della Seleka depongono il presidente Bozizé. Padre Dieudonnè è in prima linea con l’iman Oumar Bobine Layama e il pastore protestante Nicolas Guérékpyaméné-Gbangou nella Piattaforma delle confessioni per dire che le religioni non devono diventare strumenti di divisione e di guerra. Le Monde li definisce i tre santi di Bangui. Il compito delle religioni è dire a chi segue la strada della violenza che non è la strada di Dio, dire a chi vuole dividere che Dio unisce, dire “no” a chi strumentalizza la religione per fini politici. I tre leader religiosi si muovono disarmati nel Paese per incontrare le fazioni in lotta, rischiando la vita ogni volta, per chiedere la fine di ogni violenza. Come cardinale, come pastore, come imam, tutti e tre sentono nel loro cuore che questa è l’unica strada da percorrere: i cattolici, i protestanti, i musulmani, i non credenti sono parte di questo mondo e hanno il dovere di sedersi, conoscersi, entrare in relazione, cercare insieme delle strade condivise che portino ad avere visioni unitarie della politica e della società.

L’esperienza vissuta dimostra che da soli non si può portare pace, insieme invece è possibile, a patto che tutti i soggetti siano disponibili ad ascoltare, a integrare i propri valori, a vivere un cammino verso la pace che è l'orizzonte che tutti le fedi hanno davanti a loro. Per i cristiani la pace è Dio, è Cristo che la incarna venendo al mondo. Dio solo può donare la pace e renderci artigiani di pace, capaci di vivere la propria vita con il cuore aperto verso gli altri.
La riflessione non è romantica, ma profonda e, allo stesso tempo, concreta: la strada della pace tra i popoli passa dal cuore di ciascuno. In ogni uomo sonnecchia un lupo che ciascuno è chiamato a domare. Quel lupo ha vari nomi: “violenza”, “vendetta”, “odio”, “guerra”.
Oggi, nel nostro presente, ci sono persone che si lasciano vincere da quel lupo, che uccidono e perseguitano, che fanno continuamente male ai loro fratelli e alle loro sorelle. In nome della fede, i credenti sono chiamati a ricordare a tutti che è possibile rispettare, accogliere, collaborare, convivere. La pace di Dio è diversa da quella che viene decretata dagli uomini che spesso la impongono e la stabiliscono con le armi, la violenza e il riequilibrio dei loro interessi.

La pace di Dio non è impossibile ed è quella che ha vissuto pienamente Gesù tanto da donarsi agli uomini sulla croce: è l’amore che porta la pace e vince ogni tipo di male.
Come nelle prime comunità cristiane, quando i cristiani, nel cuore della persecuzione, continuarono a credere e a offrire il perdono come alternativa a quelli che gli facevano del male. Loro hanno saputo vincere il male con il bene.
Oggi come allora, nel profondo del nostro cuore, deve risuonare l'appello: «La pace dipende anche da me». L’impegno per la pace dovrebbe quindi essere un’intima esigenza di ogni cristiano. La sfida attuale più grande è certamente lottare per la pace internazionale, ma non si deve dimenticare che non basta fare grandi gesti per essere costruttori di pace.
Sono decisivi le azioni quotidiane: la preghiera, l'attenzione al prossimo. «Dove sono io, la pace è possibile nella misura in cui la desidero, la amo, la difendo e mi impegno».


Renato Bonomo
FOCUS
NP giugno / luglio 2022

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