Mossi dallo Spirito: Carlo Carretto

Pubblicato il 31-08-2009

di Annamaria Gobbato


“Mi considero fortunato perché sono nato con una carica di speranza che non è mai venuta meno nella mia vita…”


a cura di Annamaria Gobbato

Carlo Carretto è stato per il Sermig un amico caro. Nel giugno del 1972 Ernesto Olivero ed i suoi amici gli chiesero un incontro per confrontarsi con lui sulla direzione da prendere nell’avventura iniziata nel 1964. L’incontro avvenne il 1° luglio del 1972 a Spello e segnò un passo importante nel cammino del gruppo verso il “carisma della speranza” (far emergere la speranza assopita nel cuore della gente). Carretto infatti incentrava tutto il suo itinerario umano e spirituale sulla speranza. Nelle prime pagine del suo libro “Un cammino senza fine” (Cittadella Ed. - Assisi 1986) scrive: “mi considero fortunato perché sono nato con una carica di speranza che non è mai venuta meno nella mia vita e mi ha sostenuto durante tutto il cammino che nel tempo s’è fatto abbastanza lungo… la speranza mi ha guidato così attraverso l’infanzia, mi ha illuminato la giovinezza, conducendomi verso la maturità della vita senza troppi incidenti, oltre quelli normali, fatti apposta per imparare a capire che ognuno di noi è impegnato in un’avventura misteriosa e interessante”.
Il Sermig lo invitò poi ad intervenire al suo primo grande incontro pubblico, il “Pomeriggio di speranza” (Torino, Palazzetto dello sport, 13 maggio 1973). Il percorso di amicizia durò fino alla sua morte. Nell’agosto dell’88 infatti – quando ormai la sua salute era gravemente compromessa - Ernesto ed altri amici del Sermig chiesero di recarsi a salutarlo a Spello e lui ancora una volta, pur nella grande sofferenza fisica, li accolse nella sua cella con affetto. Congedandoli, mostrò con gioia il giardino sotto la finestra della sua cella: “Ecco dove sarà la mia prossima dimora. Non potevo augurarmi posto migliore in cui attendere l’eternità con il mio Dio”.
Riportiamo un brano da un suo intervento tenutosi il 28 maggio 1978 presso la Parrocchia “Beata Vergine Assunta” di Torino.

a cura di Annamaria Gobbato

BEATI I MITI
di Carlo Carretto

La nostra speranza è la speranza di un mondo veramente nuovo: “Non ricordate più le cose passate, io faccio nuove tutte le cose” (Is 43,18-19). Questa è la vera utopia del Vangelo: l’utopia della castità, l’utopia della povertà, l’utopia della mitezza. Sì, veramente l’utopia delle beatitudini che viviamo nella speranza e che dà a ciascuno di noi qualcosa di veramente nuovo.

Nell’ultimo viaggio che ho fatto in Cina, sono passato a Bangkok a trovare mio fratello, vescovo in una piccola diocesi della Thailandia, dove è il rappresentante della Chiesa cattolica presso i mussulmani, i buddisti, gli scintoisti e le varie altre religioni. Mi raccontò di come erano riusciti a formare una specie di federazione, un’intesa fra le varie religioni; avevano deciso di costruire un luogo di preghiera che sarebbe stato realizzato in una vallata dominata da tre colline.

Sulle capanne destinate allo scopo sarebbero stati posti tre monumenti raffiguranti Buddha, Maometto e Gesù. Mi è piaciuta questa idea di fare uno sforzo di unità per raggiungere quell’unico Dio che è Padre di tutti. Mio fratello mi chiese che cosa avrei scritto io sotto il monumento a Gesù. Risposi: “Questi è Gesù che, risuscitando dai morti, annunciava a ciascuno di noi la propria resurrezione”.

Questa è la vera profezia del Cristo: la vita che nasce dalla morte, la resurrezione dai morti. Se il chicco di grano non muore non può dare frutto, ma se muore produce frutto. Questo è il sunto della Buona Notizia. Questa è la parola che posso dire a chi si dibatte nella sofferenza: “Siamo stirpe di Dio”. Se un treno passa sul mio corpo e mi taglia in due, che cosa ha tagliato? Una combinazione chimica, un insieme di cellule o di organi: non ha tagliato la vita eterna, non ha tagliato l’amore che è unito allo Spirito Santo. Non potete tagliare lo Spirito Santo, non potete annientare la luce che è Cristo.

Non esiste la morte fisica: è soltanto un segno
e un’immagine di un’altra morte che è terribile e che è la separazione dell’uomo da Dio. Per questo la morte fa spavento, e deve farmi spavento, perché mi ricorda che devo aver paura di essere separato dalla vita, dalla luce, dall’amore; perché quando io non faccio luce, quando io non creo la vita, quando sono lontano dall’amore, allora sono nel nulla. Mi separo da Dio quando odio, quando resto nel mio egoismo, nella mia violenza. Ma la morte fisica non esiste, è soltanto un segno; nessuno può distruggere la mia persona perché questa è stata creata ad immagine di Dio.

In noi c’è una radice che è eterna.
Io credo alla vita eterna, per questo non ho paura. È questa realtà della nostra resurrezione che dà senso al mistero delle Beatitudini: beati quelli che piangono, che soffrono, beati i perseguitati, beati i miti… Ma come è possibile dire ad un uomo “beato” quando è povero, quando soffre? Come è possibile gridare la beatitudine davanti alla disciplina della castità? È possibile soltanto perché io sono diventato un altro, la resurrezione di Cristo ha fatto di me una cosa nuova.

Noi viviamo nell’invisibile, la morte fisica non ci stacca da questa realtà che Cristo ci ha indicato. E come me, così tutto il cosmo è nel fuoco della resurrezione. Dopo la resurrezione di Gesù, la storia non va verso la distruzione, verso il caos; la storia va verso la pace, verso l’ordine, verso la resurrezione. È il cosmo intero che partecipa di questa trasparenza di Dio; io mi sento in questa trasparenza di Dio, in questa luce, al di là di me, della mia debolezza, della mia povertà, del mio pianto: sono in Dio, sono eterno, io ho già la pace. Voi mi fate la guerra, ma io sono già nella pace, io sono già seduto al convito nuziale.

Il messaggio allude a questa immagine del pittore Norberto rappresentata sul retro del biglietto.


Spello, Pasqua 84

Ernesto!
Ho visto sui giornali
la tua fantastica realizzazione *. Ricordo quando
anni fa me ne parlavi.
Dicevo: è un sogno! Tu
sei davvero uno di quelli
che sanno volare come
in questo Norberto. Bravo!

Fratel Carlo

* (si riferisce alla trasformazione dell’ex Arsenale militare di Torino in Arsenale della Pace, iniziata nel 1983 – n.d.r.)


SCHEDA BIOGRAFICA
a cura di Annamaria Gobbato

Carlo Carretto nasce ad Alessandria il 2 aprile 1910, in una famiglia di contadini. È il terzo di sei figli, di cui quattro si faranno religiosi. Dopo l’infanzia trascorsa a Torino, a diciotto anni parte per un piccolo paese delle montagne piemontesi, come maestro elementare.

A ventitré anni entra nei giovani dell’Azione Cattolica torinese: “Avrei voluto cambiare il mondo nello spazio di una generazione: la mia.”. Nel 1940 è direttore didattico in Sardegna. Scontratosi con il regime fascista, viene confinato a Isili, poi viene radiato dall'albo dei direttori didattici e tenuto sotto sorveglianza.

Nel 1946 diviene presidente centrale della Gioventù Italiana di Azione Cattolica
(Giac). Nel 1948, in occasione dell'80° anniversario della fondazione dell'Azione Cattolica, organizza una grande manifestazione di giovani a Roma: è la famosa adunata dei trecentomila "baschi verdi". Poco dopo fonda il Bureau International de la Jeunesse Catholique, di cui diviene vice presidente.

In seguito ai contrasti nel mondo cattolico riguardo ai rapporti con la politica lascia i suoi incarichi e ricerca nuove strade su cui indirizzare la sua azione di laico cattolico impegnato. Ma una profonda trasformazione sta avvenendo in lui.

Nel 1954 entra a far parte dei Piccoli Fratelli di Gesù, nati sulla scia dell’insegnamento di Charles de Foucauld: “Voglio gridare il vangelo con la vita e non più con discorsi inutili” scrive ad un amico. Per dieci anni conduce vita eremitica nel Sahara, dove fa una profonda esperienza di vita interiore e di preghiera, nel silenzio e nel lavoro, esperienza che esprimerà in quello che diventerà un autentico best seller, “Lettere dal deserto” (La Scuola Ed.), e in tutti i libri che scriverà in seguito.

Dopo il ritorno in Europa, nel 1965 si trasferisce con alcuni confratelli a Spello, in Umbria, a pochi chilometri da Assisi, sulla terra di quel Francesco che tanto lo affascina con la sua vita tutta di Dio. Quasi subito la comunità si apre all'accoglienza di quanti, credenti e non, desiderano trascorrere un periodo di riflessione e di ricerca di fede vissuto nella preghiera, nel lavoro manuale e nello scambio di esperienze.
Carretto muore il 4 ottobre del 1988, festa di San Francesco.

I suoi libri sono stati tradotti in molte lingue e gli hanno creato una schiera di lettori e di amici in molti Paesi del mondo. Spesso veniva invitato, perciò, a portare la sua parola in conferenze e incontri spirituali. La sua profonda interiorità non lo isolava dal mondo e dai suoi problemi, ma anzi lo spingeva ad interessarsene in spirito di profezia e di servizio.

Le citazioni sono tratte da:
Carlo Carretto, Innamorato di Dio. Autobiografia, Cittadella Ed., Assisi 1997

Vedi anche:
Charles de Foucauld: innamorato di Gesù







Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok