Nessuno se n’è accorto

Pubblicato il 03-02-2017

di Gian Mario Ricciardi

di Gian Mario Ricciardi - Il nostro Paese fa i conti con rabbia e rancore: i frutti della crisi.

È l’Italia della rabbia: ascoltiamola.
L’ho vista crescere, l’ho vista esplodere.

Genitori con i figli plurilaureati in casa che non trovano lavoro; giovani bravi davvero cui offrono nei call center quattrocento euro al mese; figli tra i venticinque e i 35 anni che sono obbligati a sopravvivere passando da un impiego a progetto ad un altro a provvigione, da contratti a chiamata per stare alla cassa nei week end di supermercati, città commerciali, outlet; donne e uomini rimasti per le ragioni più svariate fuori dai cancelli delle fabbriche e condannati (quando sono fortunati) a lavorare attraverso cooperative che, alla fine della festa, pagano loro 5-8 euro l’ora.

Eccolo il Paese che ha il volto del 2016, ma gli stipendi di dieci anni fa. Certo, è l’effetto nefasto della globalizzazione che a tutti (salvo ai grandi manager delle banche e ai boiardi di Stato) ha ridotto e dimezzato gli stipendi e mortificato la speranza. Certo è il risultato di una miopia dei politici del passato che ha lasciato una massa di garantiti (e super-garantiti) ed una folla di persone con diritti ridotti e molto meno cielo nel quale lanciare i sogni.

Certo è la naturale conclusione di una politica che, in questi anni, ha salvato le banche, non le fabbriche, ha continuato a favorire i soliti noti e i grandi gruppi industriali, ora di proprietà estera o finiti oltre frontiera e non si è preoccupata del deserto delle periferie. Nelle nostre periferie, da Torino a Milano, a Roma o Napoli si registra nella solitudine delle mattine d’inverno, quella di una generazione dimenticata, del ceto medio disossato dalle difficoltà e spesso spazzato via dalla crisi, quella degli anziani che alle nove già tornano a casa per consumare la giornata dietro i vetri della finestra a guardare malinconicamente i rari passanti o davanti alla tv, quella dei commercianti obbligati ad abbassare le saracinesche e a spegnere uno dopo l’altro, i presidi sotto casa, presidi di convivialità, di qualità di rapporti e di vita, di dignità umana. Che tristezza! E che dire dei nonni che aiutano figli e nipoti a sopravvivere; che dire dei cinquantenni il cui mondo è stato razziato dalla infinita crisi economica.

Nessuno se n’è accorto? Nessuno ha registrato la rabbia che cresceva e l’impotenza che aumentava? Adesso, per un mese o due tutti ne parlano. Parole spesso al vento, travolte da scelte ed interessi che vanno ben oltre il lavoro precario, la disperazione e il senso di inutilità che dilagano nonostante l’aiuto forte, fantasioso, dirompente delle parrocchie e della Caritas.

Chi ascolta l’Italia del rancore? Forse, eccetto gruppi e associazioni laiche o cristiane che hanno una lunga storia di solidarietà, nessuno. Ma quel grido purtroppo sta viaggiando verso un punto di rottura. Chi può intervenga: al rancore bisogna sostituire la speranza, quella vera, non quella delle promesse mancate.

 

Gian Mario Ricciardi
TODAY
Rubrica di NUOVO PROGETTO

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