Oltre la tempesta

Pubblicato il 09-08-2012

di Fabio Arduini

Gemma Capra aveva 25 anni, due figli e un terzo in grembo quando il commissario Luigi Calabresi, suo marito, fu ucciso. Era il 1972. Ha scelto la strada della speranza, non quella del rancore.

Cosa significa per lei la parola speranza?
Significa gioia di vivere. Significa vedere il lato positivo delle cose, il bicchiere mezzo pieno invece che mezzo vuoto. Anche da una tragedia noi possiamo ricavare cose buone, può sembrare una esagerazione ma è la verità. A me per esempio la gioia di vivere ha permesso di attraversare il dolore e mi sono scoperta differente e più bella, più sensibile, più generosa, più attenta agli altri. Sono diventata capace di capire le persone e di conseguenza giudico meno la gente. La speranza è una forza talmente potente che è capace di fare emergere il bene dai drammi della vita, tanto bene che non avremmo immaginato dentro di noi. E possiamo ritrovare la serenità.

La speranza è una scelta?
Si può scegliere di sperare, la speranza è in se stessa una scelta di vita. Nella mia esperienza, dopo l’assassinio di mio marito, feci una scelta precisa: non avrei mai odiato alcuno, non avrei mai scelto la strada del rancore. Ebbi il coraggio e la forza di questa scelta per i miei figli: volevo evitare che la violenza subita continuasse anche negli anni successivi condizionando la loro crescita. Faccio sempre questa raccomandazione: l’odio deve essere bandito.
Scegliere la speranza significa anche aprire la porta del cuore, non vergognarsi di fronte agli altri di soffrire, e poi accettare di farsi aiutare, accettare la solidarietà che arriva, inaspettata, abbondante: per me è stata una sorpresa enorme. Ricordo che si è sempre manifestata in tante forme: ho ricevuto sostegno da persone che prima non sentivo così vicine, da parenti ed amici ma anche da semplici conoscenti e da chi prima non conoscevo nemmeno; ho saputo di quanti pregavano per la mia famiglia.

La speranza nasce anche dalla fede?
La fede mi ha permesso di scoprire una comunione profonda con moltissime persone. Scegliere la speranza permette di sperimentare che la sofferenza accomuna le persone, invece che dividerle. Chi soffre sa essere vicino a chi ha subito un’ingiustizia. Attenzione però all’invidia: a volte nel nostro cuore nascono pensieri, siamo portati a confrontare la nostra condizione con quella altrui, a considerare che, insomma, gli altri non sono stati toccati da una tragedia come la nostra. Tutto questo va fermato, bisogna impedire che ci invada, perché sbarra la porta all’amore che alimenta la speranza.

Come si fa a scegliere la speranza?
Il consiglio che posso dare è osservare la natura che va avanti. Il dolore che ci tocca affrontare non viene cancellato, ma ti accorgi che qualsiasi tragedia non ha la forza di interrompere la bellezza della natura.
E questa bellezza rimane lì per noi da gustare, permette anche a noi di andare avanti. Il sole continua a offrirci lo spettacolo dell’alba e del tramonto, e come sempre merita di essere gustato. Voglio sottolineare che riuscire a sperare in momenti difficili è indipendente dalla fede in Dio: sperare in circostanze difficili fa parte delle risorse umane, basta credere nella vita. E poi dare tempo al tempo: arrivano incontri, nuove amicizie, nuove scoperte.

Chi le ha insegnato a sperare?
Mia madre mi ha aiutato molto, una persona di grande fede e forte religiosità; da lei ho imparato a guardare avanti, a cercare il positivo in mezzo alla tragedia. I miei figli, bisognosi della mia capacità di conservare la gioia di vivere, mi hanno fatto trovare dentro la forza necessaria.
Penso che la speranza si possa insegnare ai giovani educandoli alla gioia, all’attenzione verso gli altri; e poi è importantissimo imparare a contemplare la natura, a guardare un bel paesaggio insieme a qualcuno cui si vuol bene, a gustare di questi momenti.
Una educazione di questo tipo è una ricchezza importante, ma non è mai troppo tardi per imparare. Sono convinta che anche chi non ha avuto la fortuna di ricevere l’educazione a gustare la vita, quando poi si trova ad attraversare le sofferenze riceve dentro e fuori di sé gli strumenti per superarle. Sono un dono di Dio, indipendentemente dalla fede. Certo, la speranza è una scelta: è necessario volerla e accettare di vivere la propria vita, che continua, e che vale la pena di essere gustata.

Nel mondo di oggi, cosa le dà più speranza?
La nascita dei bambini: per me è un miracolo ogni volta. Ogni individuo che nasce, con tutte le risorse che porta dentro, è una speranza per tutto il mondo. E poi, quando viaggio in autostrada guardo i campi e penso all’uomo che coltiva, quando vedo gli alberi che rifioriscono penso alla natura che rifiorisce nonostante tutto, ogni volta, ogni anno. Mi dà speranza guardare la tavola apparecchiata, la frutta e la verdura che continuano ad essere presenti, perché qualcuno ha arato un campo, venduto e comprato i prodotti. Un’altra fonte di speranza sono le azioni di solidarietà. L’uomo sa coltivare la generosità e, nonostante vengano messe poco in evidenza, le azioni buone sono fatti che continuano a verificarsi con abbondanza, giorno dopo giorno. È importante accorgersene per rimanere aperti alla speranza.

Come si può far respirare ai giovani l’aria della speranza?
Spero sempre di essere ottimista nei confronti dei giovani. Senza dubbio, oggi si trovano a vivere in un mondo poco favorevole. Penso al lavoro, così difficile da trovare e così scarso di sicurezze, a cui si devono adattare, mentre la mia generazione poteva permettersi di scegliere tra più possibilità. Non sempre è facile essere ottimisti, guardando quello che li circonda e come si comportano.
Di certo non sono pessimista, nel senso che non esistono buoni e cattivi a priori. Esiste invece, sì, il male, ed oggi vedo che certi giovani quando sono in gruppo non lo riconoscono più come tale, a tal punto da scambiarlo con il bene. È molto pericoloso, ed è un errore facile da commettere, perciò su questo insisto ed esorto i giovani a non lasciarsi trasformare in un gregge. L’antidoto è esercitare il pensiero individuale, libero, critico, autonomo e democratico. Ai giovani dico: fate tesoro dei valori che ereditate dalle vostre famiglie, documentatevi sempre e poi ragionate con la vostra testa.

Cosa dire a chi si trova nella disperazione?
Nessuno ha diritto di imporre la speranza come un dovere. È il singolo che deve accettare il dolore, accettare di fare fatica per affrontarlo, di fare fatica per superare la negatività anche quando è forte, e soprattutto deve sentirsi dentro il desiderio di uscire dalla disperazione. Tutti possono sperare. Può essere anche molto difficile, ma c’è un presupposto fondamentale: non sentirsi soli.
Non siamo mai soli, ma a volte è difficile percepirlo. Per questo sono importanti gli altri. Chi sperimenta questa difficoltà fino a trovarsi chiuso nella disperazione ha bisogno di un’unica cosa: che ci siamo noi a stargli vicino, accettandolo così com’è, dandogli affetto, facendogli sentire amore.

intervista di Fabio Arduini


Speciale – Il DNA della SPERANZA 2 / 8
Potremmo chiederci quale significato la nostra cultura dà alla speranza. Sicuramente: sopravvivere alla fame o alle catastrofi, un posto di lavoro, la salute, una vincita, una vittoria politica... Ma anche le riflessioni della filosofia e della teologia, che puntano lo sguardo oltre l’immediato. Le risposte sono tante quante le attese che ci portiamo dentro. Noi abbiamo scelto di parlare della speranza partendo da fatti concreti della vita, da testimonianze che raccontano come si può trasformare il negativo in positivo, come sprigionare le risorse che sono a disposizione dell’uomo. Senza dimenticare che la responsabilità di portare alla luce una situazione imprigionata dal buio è personale. Siamo come delle candele che aspettano di essere accese per essere e fare luce. E lasciarsi consumare attraverso le carità, attraverso la compassione, attraverso l’aiuto agli altri.

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