Parole mai dette

Pubblicato il 18-08-2011

di Gian Mario Ricciardi

Rifugiarsi nel rumore spesso è una fuga, ma anche il silenzio può ferire.
di Gian Mario Ricciardi
 
 
Ho, nelle orecchie, i decibel irrefrenabili di un impianto stereo che fa tremare l'auto, ma anche la strada e chi ha la sfortuna di trovarsi lì. È la sera d'un week end qualunque. Scene simili da nord a sud, da Torino a Cosenza. Guai a protestare. È la paura del silenzio, forse, ad alzare il volume. M'infilo in un cinema. La sala e le poltroncine vibrano: per far sentire gli effetti, ovvio. È il trionfo delle parole trasformate in urla che sfiorano la perforazione dei timpani. Cerco in discoteca, trovo un fiume vulcanico di musiche da sballo e mille diavolerie per cancellare o riempire il silenzio. È la paura, non c'è dubbio, quella che almeno il sabato e la domenica bisogna riuscire ad esorcizzare, a dimenticare.
silenzio
 
Si corre nei parchi con l'mp3 infilato nelle orecchie, si passa da un'auto al metrò o al treno con il cellulare spiaccicato sulla guancia. Che vita impossibile! È la "grande fuga", quella che non è facile da raccontare: da se stessi, dal lavoro, dal compagno o compagna, dalla politica degli insulti, dagli insulti alla politica, dagli appuntamenti, dall'orologio, dalla sveglia. È la voglia di scappare da tutto, anche dalla crisi, dai figli da pulire, vestire e portare a scuola o all'asilo, dalla spesa da fare e gli abiti da ritirare in lavanderia, dalla tesi da finire, dalle mail da leggere, da facebook da aprire. Quanti volti ha il silenzio. Meglio evitarlo.
 
Ma c'è chi lo cerca, invece. Perché il silenzio ti protegge: quando non rispondi al telefono e non ti fai trovare, quando avvolge i tuoi sentimenti e le tue amarezze, quando vela di umanità la tua vita o ti offre la possibilità di risentire i suoni e le parole dell'anima, i rumori dolci delle stagioni, i gorgoglii dei paesi e delle città, lo sferragliare dei tram, gli autobus che annunciano un altro giorno e soprattutto le parole e gli sguardi di chi vive vicino a te. Il silenzio diventa oro e risorsa quando ti riporta le sensibilità perdute e ti ridà la capacità di stare ad ascoltare. Il silenzio ti arricchisce: nei conventi o in auto o durante una passeggiata o nei giorni più caotici diventa “ricchezza dentro”, si trasforma in lunghe pause di colloquio con se stessi, con Dio, con il mondo e contemporaneamente getta le basi per reimparare ad ascoltare le parole degli altri. Il silenzio però può anche voler dire non poter parlare. Succede nelle dittature, nei regimi che flagellano il mondo, ancora oggi.
 
Succedeva nella Chiesa del silenzio. Nessuno potrà mai dimenticare i monasteri svuotati e violati o i cristiani anche nel 2009 ridotti al silenzio per sempre. Sì, i silenzi possono ferire dentro. Quelli tra moglie e marito, cominciati con un qualsiasi diverbio, sedimentati a volte purtroppo da ore ed ore di labbra cucite, arricchite da sguardi d'incomprensione, da gesti di stizza, da slanci d'amore che si trasformano, troppo spesso, non solo in indifferenza, ma in odio. Quello tra vicini che hanno affidato ad un albero piantato troppo vicino ai confini o ad un’ aiuola che deborda o alle briciole che scendono dal piano di sopra la felicità delle giornate che vengono travagliate poi da mezze parole sussurrate e da dispetti assolutamente impensati, spesso improbabili ed incivili. Quelli tra amici che diventano, quasi sempre inspiegabilmente nemici: per invidia, gelosia o perché divisi da amori, affari o chissà che cosa. Quelli dei parenti divisi da litigi furibondi per eredità sbagliate o mancate che per tutta la vita si evitano, si ignorano: alcuni ci riescono anche di fronte alla morte. Silenzi terribili.
 
Quelli dei bugiardoni che tacciono, ma soltanto perché sanno già dove, come e quando ti colpiranno o ti volteranno le spalle. Quelli dei sapientoni che, certissimi di essere soltanto loro nel giusto, stanno zitti, quasi per una sorta di rispetto di fronte ai tuoi sfoghi per poi, subito dopo, a volte commiserarti per la tua miseria morale o tradirti nel nome, va da sé, della verità, la loro. Il silenzio uccide quando diventa insensibilità: agli altri, ai più deboli; quando si trasforma in meschino sotterfugio o costruisce falsità, ripicche, ritorsioni ed annega nei deliri di onnipotenza; quando si trasforma in bugia e semina zizzania; quando diventa la prova della mancanza di “occhi chiari e trasparenti”; quando opprime perché avvelena e divide.
 
Quante famiglie, quanti paesi, quanti legami o coppie sono state travolti dalle parole mai dette, dalle scuse mai fatte, dai silenzi mai riempiti da un sorriso. Proviamoci. Alla fine della vita a pesarci più d’ogni altra cosa saranno i silenzi cocciuti e sbagliati (in casa con moglie o figli) e con tutti i danni provocati, le lacrime fatte versare, la solitudine imposta; i silenzi sul lavoro e in strada: i silenzi sorprendentemente inattesi e perciò più amari, amarissimi degli amici. Soprattutto quelli.
 
Gian Mario Ricciardi
 
 
 
 

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok