Pezzi di carta

Pubblicato il 09-08-2012

di Renato Bonomo

di Renato Bonomo - Un insegnante e i suoi alunni. Il primo giorno di scuola: l’inizio di un nuovo tratto di strada, tra pensieri e speranze.

È ricominciata la scuola! Sarà un anno veramente diverso dagli altri o una semplice riproduzione di quello precedente? Domanda difficilissima che richiede una risposta impossibile. In queste pagine, non vogliamo parlare della riforma Gelmini, dell’eterna guerra tra precari, di risorse inesistenti, di alunni elementari che devono portarsi da casa cibo e carta igienica perché non ci sono soldi. Siamo al paradosso ma ormai sembra funzionare così: entri alle elementari portandoti la carta da casa per poi uscire dalla scuola superiore con un altro pezzo di carta, il diploma. Almeno in questo caso nulla sembra andare sprecato. A parte la facile ironia, che però non ci porta da nessuna parte, proviamo a scegliere un taglio particolare per parlare di questo nuovo anno scolastico. Privilegiamo quello che è uno degli aspetti più importanti della scuola: l’incontro tra giovani e adulti, insegnanti e allievi. Proprio in tempi come questi in cui il dialogo tra padri e figli sembra essere sempre più difficile, è utile chiedersi come avviene oggi l’incontro tra generazioni diverse.

Abbiamo ricevuto la testimonianza di un giovane docente. Abbiamo provato a sintetizzarla nelle righe seguenti, cercando anche di rimanere fedeli allo spirito dell’autore. Lunedì 12 settembre. Ore 07.50. L’insegnante si reca presto a scuola per riprendere le lezioni, si sente pronto a incontrare le sue classi. Ripassa mentalmente il pistolotto da presentare agli allievi che si è preparato a casa. Argomento: la necessità di affrontare con serietà, costanza ed impegno il nuovo anno con annessa riflessione sull’opportunità di cominciare bene per essere già a metà dell’opera. Ore 07.55. Il ripasso mentale è finito, una certa soddisfazione pervade l’insegnante. Si avvicina alla macchina del caffè per il rito quotidiano più amato e desiderato.

Pensa di meritarselo: sta per affrontare decine di giovani e ha bisogno di quel carburante fumante. Stranamente la macchinetta funziona. Mentre sorseggia un caffè sostanzialmente cattivo ma di cui non può fare a meno, butta distrattamente l’occhio sulla bacheca degli avvisi e delle iniziative. L’occhio buttato va a cadere sull’editoriale di Alessandro d’Avenia, lo scrittore-insegnante, che su Avvenire del 10 settembre ha scritto un pezzo intitolato Cari Insegnanti… il primo giorno che vorrei… Tra l’altro si legge: “Ditemi qualcosa di diverso, di nuovo, perché io non cominci ad annoiarmi da subito, ma mi venga almeno un po’ di voglia di cominciarlo, quest’anno scolastico. Dall’orecchio della passione ci sento benissimo”. 0re 07.58 (due minuti al suono della campanella). L’insegnante è profondamente turbato.

L’argomento del suo pistolotto sarebbe proprio ciò che i ragazzi non vorrebbero sentirsi dire… Occorre cambiare strategia e occorre farlo in fretta. Tutto sommato è fortunato perché una rapida intuizione gli viene incontro. Nel suo editoriale, D’Avenia provoca gli insegnanti invitandoli a suscitare negli studenti una sorta di fuoco a partire dall’amore che ciascun docente sente nei confronti della materia che insegna. L’insegnante decide di accettare la provocazione! Vuole però andare oltre. Memore di un detto che più o meno suona così: “Quando l’allievo è pronto arriva il maestro”, vuole capire se i suoi studenti siano un minimo disponibili a farsi accendere. Decide così di ragionare con loro sulla motivazione, sul senso del loro andare a scuola. Ore 08.02. La campanella suona in ritardo. Anche lei non ne vuole sapere di iniziare. Finalmente si entra in classe. L’insegnante pensa: “Ora tocca veramente a me. Mi sento carico”. Entra in quinta superiore, la classe della prossima maturità. Ore 08.05. Dopo i primi saluti di rito, l’insegnante lancia la sua provocazione ai ragazzi: “Qual è stato il vostro primo pensiero alzandovi questa mattina?”. Silenzio! I ragazzi guardano basiti il loro insegnante. Il pensiero comune è: “Ma prof… non siamo pronti, di solito il primo giorno di scuola parlate voi… mica ci siamo preparati”. Il giro comunque comincia. Sentiti i primi interventi è come averli sentiti tutti. Essendo una quinta superiore tutti hanno ripetuto che sono agitati, che l’anno sarà duro e difficile con tanto (troppo) da studiare.

Il docente pensa tra sé: “Ma sono studenti o galeotti destinati ai lavori forzati?”
. Ore 09.03. Seconda ora. Questa volta tocca ai più piccoli, di seconda superiore. Vai con il primo pensiero della giornata! Anche in questo caso vince un modello standard di risposta: “Bello incontrare i miei compagni, un po’ di curiosità per i professori nuovi, per il resto avrei preferito rimanere a casa a dormire”. All’insegnante sembra di assistere ad una puntata della domenica sportiva quando vengono intervistati i calciatori: la prossima partita sarà dura, viviamo domenica per domenica, è più importante la vittoria del gruppo rispetto alla buona prova del singolo… Qualcosa di originale proviene da una ragazza che dice all’insegnante: “Quest’anno parto con molta meno curiosità rispetto all’anno scorso, anche le aspettative sono decisamente calate”. Certamente originale ma anche avvilente considerando che si è già bruciata rispetto all’anno passato e che dovrà vivere ancora quattro anni tra i banchi. Da studenti-calciatori si ritorna a galeotti ai lavori forzati. Ore 13.00. Il primo giorno di scuola è finito. Le prime riflessioni dell’insegnante sono sconfortanti. In sintesi: per la maggior parte degli studenti non sembra esistere la scuola dell’obbligo ma l’obbligo della scuola, anche nel caso in cui siano stati loro a sceglierla, come nel caso della scuola superiore.

È un prezzo che devono pagare alla famiglia, alla società. La scuola in sé non attrae, è per molti versi estranea alla loro vita; non capiscono il motivo e la necessità di faticare sui libri. D’altronde come dar loro torto se molti modelli contemporanei suggeriscono che non sia poi così utile studiare per entrare nel mondo del lavoro? Per quanto riguarda le nozioni, si possono trovare dovunque, in abbondanza rispetto alla scuola e, soprattutto, presentate in una forma molto più accattivante. Non dimentichiamo infine che le comunità virtuali rischiano di essere molto più interessanti rispetto ai soliti compagni di classe. Ore 13.30. Lo sconforto resiste ma l’insegnante ha comunque ripreso a sperare quando si è reso conto, ripercorrendo la giornata, che, nonostante tutto, gli è piaciuto stare in classe con quelle giovani menti un po’ debosciate. Ma che cosa può fare un insegnante come il nostro, più o meno giovane? A noi verrebbe da dire che forse è opportuno ripartire da quella piccola ma non insignificante gioia che nasce dallo stare con i ragazzi. Poi dovrebbe cercare di non rimanere solo, quindi inventarsi un modo per diventare una sorta di mediatore tra il mondo dei grandi e quello dei ragazzi: non con lo scopo di fornire loro nozioni – d’altronde non si può insegnare tutto – ma usando queste e le discipline come strumenti per capire la realtà che li circonda e orientarsi in essa da protagonisti. Resistere e provarci, dare senso a quello che si fa scoprendo il perché delle cose, facendosi soprattutto aiutare dalle famiglie perché, come dice Seneca, se non sai in quale porto attraccare nessun vento ti sarà favorevole. Il tutto per dimostrare che la scuola, anche senza carta igienica, serve.

NP Special – La passione educa 4/6
Una società bloccata, la fatica dei giovani, la crisi del mondo degli adulti. Il dialogo tra generazioni è sempre più impegnativo. Esiste una via di uscita? Giovani e adulti possono ancora camminare e progettare un futuro insieme? L’incontro passa solo dalle persone, da esempi credibili, da passione vissuta e testimoniata.

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok