Prima di tutto, l’incontro

Pubblicato il 11-05-2016

di Annamaria Gobbato

di Annamaria Gobbato - Anche nel contesto difficile della Terrasanta, c’è spazio per il dialogo. Basta fare il primo passo. Alcune domande ad Anna Pozzi, del Pime di Milano, in occasione di un incontro con il vescovo greco-cattolico emerito per Nazareth e tutta la Galilea, mons. Elias Chacour.

Mons. Chacour è stato candidato al Premio Nobel per la Pace per il suo instancabile impegno per la convivenza pacifica tra ebrei e palestinesi. In cosa consiste questo suo impegno?
Mons. Chacour è una persona di grande carisma e grande energia. Durante tutta la sua vita ha saputo positivamente mettersi in mezzo – inter-cedere – in situazioni di conflitto, incomprensione, sospetto, mancanza di conoscenza reciproca, talvolta di odio e violenza. E lo ha fatto partendo dal nulla: da una piccola parrocchia in cui non aveva neppure una casa dove dormire. Ha cominciato così a vivere a Ibllin, vicino a Haifa, dormendo in macchina, e poi chiedendo ospitalità agli abitanti del villaggio e poi ancora andando a visitare le famiglie, iniziando da quelle musulmane. Un gesto per certi versi anomalo, non da tutti compreso. Era per dire che lui era lì per dialogare con tutti. Per farsi conoscere e riconoscere, non come l’altro, il cristiano, il prete, disponibile solo per la sua piccola comunità. Ma come una persona disponibile all’incontro e al dialogo con tutti.

Grazie alle Mar Elias Educational Institutions, il complesso scolastico da lui fondato nel 1982 a Ibillin, un villaggio della Galilea poco lontano da Haifa, possono studiare migliaia di studenti provenienti da famiglie cristiane, musulmane, ebree e druse. Quali le luci e le ombre di questo lavoro?
Tutto è cominciato con le colonie estive. Aperte a tutti: bambini cristiani, musulmani, drusi, ebrei... Perché con i bambini non ci sono ancora quelle barriere di sospetto e talvolta di odio che spesso segnano gli adulti e li tengono distanti gli uni dagli altri. Tre settimane piene di allegria, giochi, svago, con le mamme di tutte le appartenenze religiose che a turno preparavano da mangiare per un migliaio di bambini. Ma per tutto il resto dell’anno questi bambini vivevano da separati in casa. Di qui l’idea di aprire una scuola, tra mille problemi burocratici e mancanza di permessi, che non hanno per nulla scoraggiato il vescovo. Che è arrivato a creare un grande centro educativo che oggi ospita oltre 3.400 studenti provenienti da famiglie di origini e appartenenze religiose diverse. Molte altre migliaia sono uscite dal Mar Elias in quasi 35 anni di esistenza. Persone che in diversi contesti, nelle loro famiglie come nelle loro professioni, nella politica piuttosto che nell’associazionismo, stanno portando avanti i valori di nonviolenza, riconciliazione e perdono su cui si fonda il percorso educativo della scuola.

Come possiamo manifestare una solidarietà concreta con i cristiani di Terra Santa, e con tutti coloro che provano a seminare frutti di pace per il futuro di questa terra travagliata?
Credo innanzitutto attraverso la conoscenza. E penso che anche il vescovo Chacour sarebbe d’accordo su questo. Conoscere meglio, conoscere più a fondo la realtà dei cristiani - non solo in Terra Santa, ma in tutto il Medio Oriente, dove stanno vivendo uno dei periodi più drammatici della loro storia e della loro presenza – sia il primo e più indispensabile passo per dimostrare poi anche una concreta solidarietà. Che si può esprimere in molti modi: attraverso l’amicizia, ad esempio, come ha suggerito lo stesso mons. Chacour. Non dimenticarsi di quelle situazioni e di quelle persone, non voltare la faccia dall’altra parte. Anche quando siamo chiamati concretamente ad accoglierli in casa nostra.







Rubrica di Nuovo Progetto

 

 

 

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