Rattrappiti nel presente

Pubblicato il 10-08-2012

di Andrea Gotico

di Giulio De Rita (ricercatore Censis) - Un fenomeno tutto italiano, in controtendenza rispetto al resto dell’Europa che conta. Dire che gli italiani sono presentisti, sono cioè appiattiti nel presente, senza una particolare visione del futuro, potrebbe essere un neologismo, ma non una novità. Gli italiani, sia individualmente che collettivamente, hanno sempre vissuto per il presente, la programmazione non ha mai conosciuto una grande fortuna da noi, basti pensare a come si sono sviluppate le nostre città o il nostro sistema imprenditoriale: quel che conta è risolvere il problema dell’oggi - è stato un po’ il motto del nostro sviluppo - per il domani si vedrà! Per questo siamo sempre stati bravi a cavalcare le onde, a insinuarci nelle pieghe della storia, creando le nostre nicchie. Quello che è cambiato è il rattrappimento nel presente, il nostro oggi cioè si è fatto stretto e un po’ sterile; il mondo corre molto più rapidamente e la nostra capacità di cavalcare in tempo reale le trasformazioni si è ridotta. Vediamo alcuni dati, concettualmente distanti tra loro, ma sintomatici di un unico atteggiamento miope e disinteressato rispetto al futuro: nel tempo la quota di risorse destinate ai consumi aumenta più della quota destinata agli investimenti.

Dal 1990 a oggi i consumi nazionali sono cresciuti del 22% mentre gli investimenti solo del 12%. E negli ultimi dieci anni i consumi sono cresciuti del 7% mentre gli investimenti sono scesi dell’1%. Si allentano poi le responsabilità familiari: negli ultimi vent’anni l’età media al primo matrimonio è cresciuta di quattro anni e mezzo, mentre nel ventennio precedente era aumentata di appena un anno e mezzo. Prevale una comunicazione istantanea, che fa leva sull’emotività, senza molti spazi di verifica. Il web zapping è emblematico di questo modo di consumare le notizie. Nel giro di un anno (febbraio 2010-febbraio 2011) il tempo medio di permanenza di un utente su una pagina web è passato da 33 a 29 secondi, le pagine visitate nel giorno medio per persona sono aumentate da 182 a 202. Non è allora una sorpresa, purtroppo, scoprire che i giovani non credono più nella scuola, in Europa sono quelli che danno una minore importanza alla scuola: il 50% non la ritiene un investimento valido, contro ad esempio il 90% dei giovani in Germania. I giovani italiani poi sono anche quelli in Europa che meno hanno intenzione di avviare una propria attività autonoma: il 27,1% contro una media europea del 42,8%, il 74,3% in Bulgaria, il 62,2% in Polonia, il 60,6% in Romania, ma anche il 53,5% in Spagna, il 44,1% in Francia e il 40,3% nel Regno Unito.

Significativa è la motivazione addotta: al 21,8% appare un’impresa troppo complicata, contro una media europea del 12,7%. Non avere una visione del futuro, significa concentrarsi sulla conservazione dell’esistente, come ad esempio sul tenore di vita a cui siamo abituati, vorremmo vivere in un eterno oggi perché il domani ci fa paura, non cavalchiamo l’onda, perché abbiamo paura che ci travolga. Forse allora proprio da questa paura dovremmo ripartire, è la paura del futuro che obbliga i nostri giovani a rimanere eterni adolescenti, è la paura del futuro che spinge gli imprenditori ad affittare gli stabilimenti piuttosto che a fare nuovi investimenti, è la paura del futuro che porta le banche a chiudere i rubinetti, le donne a non fare figli e lo Stato a non investire in educazione. Come cristiani possiamo quindi testimoniare che il futuro non ci fa paura, è un altrove anzi verso cui ci muoviamo fiduciosi, non solo perché da esso non si può scappare - e il presentismo ci illude che ciò sia possibile - ma perché, per chi crede, andare verso il futuro è sempre andare anche verso Dio.

NPSpecial – Riparatori di Brecce 3/8

Nel mondo di oggi si è approfondita una frattura tra uomo e Dio, tra politica e gente comune, tra giovani e adulti. Non è questo il mondo che vogliamo. Serve un cambiamento di rotta. Quando non si riesce più ad essere credibili, a dire una parola decisiva, quando anche le guide sono cieche, è tempo di guardare più alto e più lontano, è tempo di non fermarsi alla denuncia ma di “restituire”, è tempo di tornare a far vivere la profezia, è tempo di riparare le brecce. Non come tappabuchi, ma come ricostruttori di vita, di una vita piena di dignità. Il mondo si può cambiare!

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