Se la Gioconda potesse parlare

Pubblicato il 01-02-2021

di Pierluigi Conzo

Alla scoperta degli algoritmi che misurano i tratti somatici

Cercando alcuni studi per una ricerca che sto conducendo, sono stato colpito da un recente articolo pub­licato su una rivista di elevato prestigio in ambito accade­mico, Nature Human Behavior. L’idea dell’articolo è originale, così come la metodologia adottata: studiare l’evolu­zione storica dell’affidabilità delle per­sone, elemento del più ampio concetto di “capitale sociale”, tramite l’analisi dei tratti somatici dei protagonisti dei ri­tratti europei.

Per quanto il capitale sociale, o più specificamente le preferenze sociali delle persone (altruismo, fiducia, affi­dabilità, cooperazione), sia molto dif­ficile da misurare data la natura “liqui­da” del concetto, negli ultimi anni sono stati fatti progressi in questa direzione, grazie anche al contributo dell’econo­mia comportamentale. Tuttavia, quel­lo che siamo in grado di capire oggi tramite semplici giochi o questionari facilmente somministrabili ad ampi gruppi di persone in tutto il mondo non è possibile traslarlo al passato, dal momento che i metodi di analisi di oggi sono implementabili solo con le persone di oggi.

Qui entra in gioco l’innovazione de­gli autori: applicare recenti metodi di apprendimento automatico (machine learning) per estrarre informazioni quantitative sull’evoluzione di “tratti somatici sociali” contenuti nei dipin­ti. In particolare, studiando i ritratti, l’algoritmo genera valutazioni automa­tiche circa l’affidabilità dei soggetti in base delle contrazioni muscolari fac­ciali rilevate nei display.

Per valutare l’evoluzione dell’affidabi­lità nella storia, gli autori hanno ana­lizzato prima i dipinti inglesi dal 1505 al 2016 della National Portrait Gal­lery, il più grande database online di ritratti storici. I risultati mostrano un aumento significativo dell’affidabilità nel tempo, suggerendo che la fiducia interpersonale sia aumentata dal XVI al XX secolo. L’analisi di dipinti è sta­ta poi replicata sulla Web Gallery of Art, un importante archivio di belle arti che copre 19 Paesi dell’Europa oc­cidentale per sette secoli (1360-1918), riscontrando anche in questo caso un aumento significativo dell’affidabilità nel tempo.

Per avere un supporto empirico all’i­potesi che la maggiore affidabilità stimata dai ritratti nel tempo corrisponda ad un effettivo cambiamento nella fiducia sociale, gli autori appli­cano l’algoritmo ai selfie su Instagram in sei grandi città del mondo nel 2013. I risultati mostrano che le persone che si trovano in luoghi in cui la fiducia e la cooperazione interpersonale sono più elevate hanno mo­strato livelli più elevati di affidabilità stimata dall’algoritmo nei loro selfie, suggerendo che l’affidabilità stimata nei dipinti può effettivamente essere uti­lizzata come misura attendi­bile del livello di fiducia delle persone.

Un altro risultato interessante è che l’aumento storico dell’af­fidabilità è correlato con l’a­scesa dei valori liberali come la tolleranza religiosa, la li­bertà politica e la democrazia. Inoltre, gli autori trovano an­che una forte correlazione tra l’aumen­to di affidabilità nel tempo e l’aumento del PIL: l’ipotesi alla base di questo nesso è che i cittadini più poveri sono quelli che risentono di più della per­dita quando un proprio atto di fiducia non trova riscontro nell’affidabilità (o reciprocità) dell’altro. Al crescere delle risorse a disposizione si sarebbe quindi più propensi a correre il rischio sociale di essere “fregati”. È comunque d’obbligo precisare che questi nessi hanno una natura correlazionale e non causale, per cui è difficile stabilire cosa sia la causa di cosa: per esempio, il PIL è cresciuto nel tempo perché si è più propensi a fidarsi delle persone e la fi­ducia è aumentata grazie all’aumento delle risorse a disposizione? Che siano attendibili o meno i risultati trovati, la metodologia usata è sicuramente innovativa e affascinante. Allo stesso tempo però può essere pericoloso im­maginare applicazioni dell’algoritmo in altri contesti. Suscita qualche remi­niscenza lombrosiana l’ipotesi di usare uno screening facciale alla Robocop – per quelli della mia generazione – prima di decidere se fidarsi o meno di chi abbiamo davanti. Oppure, forse, già lo facciamo senza rendercene conto?

Pierluigi Conzo

NP dicembre 2020

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