Senza vaccino

Pubblicato il 26-06-2021

di Lucia Capuzzi

La lotta alla pandemia non è uguale per tutti. L'appello del Papa e della Caritas.

 

Quanti hanno responsabilità politiche e di governo si adoperino per favorire innanzitutto l’accesso universale all’assistenza sanitaria di base», è «indispensabile che i notevoli progressi medici e scientifici compiuti nel corso degli anni, i quali hanno permesso di sintetizzare in tempi assai brevi vaccini che si pro- spettano efficaci contro il coronavirus, vadano a beneficio di tutta quanta l’umanità».

Nell’ultimo discorso al corpo diplomatico, papa Francesco ha rivolto un nuovo appello al mondo affinché garantisca l’accesso ai vaccini a tutte le Nazioni, indipendentemente dal reddito. «Esorto pertanto tutti gli Stati – ha sottolineato – a contribuire attivamente alle iniziative internazionali volte ad assicurare una distribuzione equa dei vaccini, non secondo criteri puramente economici, ma tenendo conto delle necessità di tutti, specialmente di quelle delle popolazioni più bisognose».

 

Qualche giorno prima, Caritas Internationalis si era rivolta all’Onu, chiedendo una riunione del Consiglio di sicurezza sulla questione. A firmare il messaggio, anche il prefetto del dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale e, per questo, il cardinale Peter Turkson, insieme al cardinale Luis Antonio Tagle, presidente di Caritas Internationalis, e dal segretario di quest’ultima, Aloysius John. La diseguaglianza economica si riflette in tutta la sua tragicità nella disparità nell’accesso alle dosi disponibili. Dei 200 milioni di fiale distribuite, il 45 per cento è finito nei Paesi del G7, ovvero le grandi potenze si sono aggiudicate quasi la metà dei farmaci disponibili.

In oltre 100 Nazioni, dove abita quasi un terzo dell’umanità, la campagna di inoculazione non è ancora cominciata. Di questo passo, sarà difficile raggiungere l’immunità di popolazione globale – cioè la vaccinazione del 75 per cento degli abitanti – sarà lungo e difficile.

 

Nel frattempo, l’apartheid vaccinale rischia, così, di sommarsi alle altre forme di apartheid di fatto che frammentano il globo. Il «grande business del vaccino» vale 40 miliardi di dollari: tanti sono i guadagni delle case farmaceutiche coinvolte secondo l’analista di Bernstein, Ronny Gal. Una stima al ribasso. Solo i profitti dei colossi Pfitzer e Moderna – i cui prodotti sono stati approvati nella maggior parte dei Paesi occidentali, Italia inclusa –, sommati, superano i 30 miliardi, per ammissione delle stesse società. Moderna, in particolare, ha visto moltiplicare il valore delle proprie azioni del 700 per cento, passando da un fatturato annuo di 60 milioni a 62 miliardi. Sono proprio questi numeri a spiegare perché faccia tanta fatica a trovare accoglienza la proposta di India e Sudafrica, presentata il 2 ottobre scorso all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), di sospendere temporaneamente i brevetti sui vaccini e gli altri dispositivi indispensabili al contrasto del Covid.

 

Questa opzione, sottolinea Nicoletta Dentico, giornalista ed esperta di sanità, «consente a piccole e medie imprese farmaceutiche di accedere alle conoscenze esistenti e utilizzarle» per produrre in proprio i vaccini. Una rivoluzione copernicana per i Paesi poveri che avrebbero il vaccino al prezzo di costo. Finora, però, solo AstraZeneca si è impegnata a vendere a questi ultimi senza lucrare fino alla fine della pandemia. Moderna, invece, ha promesso che non si sarebbe opposta all’utilizzo della propria tecnologia da parte di altri. «Cure e vaccini sono beni pubblici globali – afferma Silvia Mancini, esperta di salute pubblica di Msf –. Considerarli tali è un vantaggio per tutti. La pandemia non sarà finita fin quando ci saranno focolai attivi nel pianeta». «I diritti esclusivi e i monopoli dei colossi farmaceutici sui brevetti impediscono che ci siano dosi sufficienti di vaccini sicuri ed efficaci», denunciano Oxfam, Emergency, Frontline Aids e Global Justice Now, membri della People’s Vaccine Alliance. «Congelare i brevetti è l’unico modo per vincere la pandemia», sottolineano. Oltretutto si tratta di una via praticabile e legale. La clausola è prevista nello stesso trattato istitutivo della Wto, il cosiddetto accordo Trips di Marrakesh del 1994. L’articolo 9 contempla «eccezioni» alle regole vigenti sulla proprietà intellettuale in casi di particolare gravità. Come una pandemia, appunto. Tanto più che questa volta le aziende farmaceutiche hanno potuto contare su un’ingente iniezione di finanziamenti pubblici: 93 miliardi di dollari, di cui 83,5 destinati ai vaccini, secondo la Fondazione Kenup. Quasi un terzo di tale somma è stato sborsato dagli Usa, l’Ue ha contribuito con il 24 per cento, Giappone e Corea del Sud con il 13 per cento.

 

Eppure la resistenza è forte. La proposta indo-sudafricana – sostenuta dalla stessa Organizzazione mondiale della sanità (Oms) – deve ottenere il sì dei tre quarti dei Paesi membri. Ma l’orientamento di alcuni Stati cruciali – Usa, Ue, Gran Bretagna, Giappone, Svizzera e Australia è di chiusura. Questo è fondamentale: la Wto dovrebbe pronunciarsi l’11 marzo. Ma la decisione potrebbe slittare ancora. Il Covid, intanto, continua a uccidere.

 

Lucia Capuzzi

Latinos - NP marzo 2021

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