Soli a Tirana

Pubblicato il 20-02-2023

di Fabrizio Floris

Un terzo degli albanesi vive nella capitale dove aumentano solitudine e impoverimento

L’Albania è un Paese in costruzione: case, palazzi, ville, grattacieli. Eppure perde ogni anno abitanti scendendo significativamente sotto la soglia psicologica dei 3 milioni di abitanti, di cui un milione vive nella capitale Tirana: quella che gli urbanisti chiamato “città primate” perché da sola assorbe più della metà della popolazione urbana dell’intero Paese.

Nel centro città sono in costruzione ben 7 grattacieli, le piazze brillano di luci, i ristoranti sono pieni e svettano gli alberghi a cinque stelle: tutto appare ordinato, pulito, curato. «Eppure, racconta Fredo, mi sento finito, sai cosa vuol dire sentirsi alla fine, come persona, come essere umano, non avere più niente da dire e niente da dare, niente da fare. Non so dire cosa mi manca, semplicemente mi sento trasparente: esserci o non esserci pare non fare nessuna differenza. Sei assente a te stesso e al mondo che ti circonda. Vivi come un suddito che subisce passivamente gli eventi, ma non reagisce. Quando cammino di notte lungo le strade di Tirana osservo e passo oltre. [...] Qualche giorno fa, quando le montagne intorno alla città erano piene di neve che spingeva verso le strade del centro correnti d'aria fredde, ho visto un uomo seduto per terra vicino al semaforo all’incrocio tra Rruga Kavajes e Rruga Kongresi. Muoveva le braccia mentre spuntavano sotto la luce dei lampioni le ossa spigolose, la schiena era completamente scoperta e a mani nude mangiava da un cestino. L’avevo osservato brevemente, a distanza, poi ho girato dall'altra parte. Non sapevo che fare, non avrei saputo cosa dire, eppure mentre mi incamminavo provavo un senso di vergogna, mi sono vergognato di me stesso, di questa distanza che frappongo tra me e gli altri, questa distanza sociale che è diventata distanza umana: l’incapacità di fare un gesto, anche minimo, invece di pensare alla risposta, a quale soluzione si può trovare, piuttosto che fare la mia parte, non la soluzione, ma una piccola fondamentale parte per cui vale la pena esserci: non essere ancora veramente finito».

La solitudine e l’isolamento hanno impoverito tutti, come scrive Wisława Szymborska «siamo molto cortesi l’uno con l’altro, diciamo che è bello incontrarsi dopo anni. Ci fermiamo a metà frase, senza scampo sorridenti. La nostra gente non sa parlarsi».

Fabrizio Floris

NP Dicembre 2022

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