UE: metti grinta, passa da così ... a così!

Pubblicato il 25-11-2021

di Carlo Degiacomi

Conoscete i Peanuts?
Le strisce con Charlie Brown come protagonista.
Nel suo stile racconta: «a volte di notte sogno e mi chiedo: la vita è un quiz a scelta multipla o un test vero e falso?
»… e sento una vocina che risponde: «siamo desolati, ma la vita è un saggio di almeno mille parole».
Su questa base ho scritto, con altri, il testo di un gioco didattico interattivo (un exhibit) sui cambiamenti climatici e la transizione ecologica per i ragazzi da 10 a 99 anni. Siamo partiti proprio da un vero o falso per spiegare che il tema è molto più complesso e l'abbiamo chiamata Missione 2050: un viaggio nel futuro per capire che cosa fare oggi. È stata presentato al Festival Nazionale di Legambiente a Grosseto.
Provate a sottoporre questo incipit ai vostri amici, dopo averlo provato voi.
Il tempo. I cambiamenti climatici sono un problema che non ci riguarda perché avrà conseguenze solo nel lungo periodo, su persone che devono ancora nascere. Vero o falso? Lo spazio.
I cambiamenti climatici hanno e avranno eventuali conseguenze su zone lontane da dove viviamo: «lì e non qui». Vero o falso? La cultura. I cambiamenti climatici per essere compresi, valutati, affrontati hanno bisogno di conoscenze diffuse, scientifiche e anche specifiche in molte discipline.
Vero o falso? La negazione. I cambiamenti climatici vengono ignorati da alcune persone, perché li costringerebbero ad affrontare gravi problemi che è più facile negare. Vero o falso? L'immobilismo.
I cambiamenti climatici richiedono anche soluzioni che cambiano comportamenti e abitudini, da cui molti vogliono allontanarsi. Vero o falso? La superiorità. I cambiamenti climatici non sono causati dall'uomo che è al centro della natura e che continuerà a sfruttarla il più possibile per le sue necessità. Vero o falso?
Dai titoli di ogni domanda capite che in realtà ho seguito lo schema di una dissonanza cognitiva. Termine difficile che in realtà descrive quello che abbiamo praticato per lungo tempo (e molti ancora oggi) di fronte al Covid.
Nei prossimi mesi e poi nei prossimi anni a fronte di un accentuarsi del dibattito (in ottobre la Cop 26 – United National Climate Change Conferenze) e della necessità di prendere decisioni sui temi ambientali tra cui il Climate change, scatterà la stessa rimozione psicologica. Riflesso principale: ignorare e cancellare un problema che ci pare irrisolvibile, specie se ci viene presentato come qualcosa di drammatico e senza soluzioni, che mette in discussione il nostro stile di vita, settori tradizionali in cui molti sono impegnati a difendere perché rappresenta l'attuale fonte di reddito, cercando di procrastinare qualsiasi cambiamento, invece di programmarlo.
Meglio non pensarci, ricacciarlo in qualche angolo del cervello. Questa dissonanza è la base maggiore della resistenza individuale e collettiva a una reale azione di contrasto e di scelta del futuro prossimo.


Adesso facciamo un salto: chiediamoci quando potremmo discutere, ognuno nel proprio ambito e nelle proprie schiere di amici e conoscenti delle questioni vere. Si rischia di ripartire in Italia, invece, come con un disco rotto, con la sola discussione se la crisi ambientale come affrontata per ora dall'Europa, con coraggio, progettazione, e stanziamenti, sarà punitiva e regressiva per alcuni settori. Subito ci sono lobby e opinioni pubbliche che hanno l'obiettivo di ritardare, sabotare, annacquare qualsiasi decisione.
Per avviare il vero contrasto ai cambiamenti climatici bisogna coniugarlo insieme al tema della transizione ecologica o tradizione verde. Un concetto difficile anche questo, ma che ha l'origine nella Commissione Europea presieduta da Ursula Von Der Leyen, che l'ha anche messa al centro delle questioni economiche e politiche a partire dal dicembre 2019, quando ha lanciato il Green Deal europeo e poi Next Generation EU (stanziando i fondi).
Obiettivi centrali ambiziosi ma determinati per un futuro più sostenibile dell'Unione Europea. La decarbonizzazione cioè la riduzione delle emissioni da fonti fossili. L'economia circolare che cerca di sostituire l'uso di nuove risorse con il riuso e il riutilizzo, nuovi prodotti curandone la progettazione e il ciclo di vita in modo da aumentane la sostenibilità. La protezione dell'integrità degli ecosistemi con un nuovo approccio secondo il quale gli esseri umani sono parte integrante degli ecosistemi per cui la protezione di questi deve essere prioritaria. L'Europa ci indica che questa è la strada per una crescita economica e per creare nuovi posti di lavoro.
Sono importanti per questo percorso i nostri comportamenti individuali e collettivi, ma non bastano.
Per questo insisto sulla necessità di trovare anche nuovi parametri tecnologici.
La tecnologia non risolve tutti i problemi che abbiamo sull'ambiente e l'esaurimento delle risorse, ma non può essere ignorata per vagheggiare ritorni al passato come molti fanno.
Per questi goals abbiamo bisogno di tanta nuova cultura, formazione, ricerca, innovazione, spirito imprenditoriale lungimirante, …
I tre ambiti principali, in un mix tecnologico e umanistico, vicino a noi, verso cui vorremmo si collocassero le attenzioni delle nuove generazioni sono: aiutare i cittadini specie se urbanizzati, ad essere informati, consapevoli, capaci di scegliere; formare persone professionali nei loro ambiti con mix tra scienza e scienze sociali capaci di concentrarsi nei loro ambiti (istituzioni pubbliche, enti, imprese, attività) sulle cose che si possono fare subito con le tecnologie esistenti; la ricerca con innovativi parametri per nuove tecnologie in tutti i settori specie manifattura, agricoltura, energia, trasporti valutandone l'impatto sociale oltre che gli effetti tecnici.

Un esempio di vari nuovi sbocchi di lavoro e di impegno per i giovani, che non stanno certo nei settori tradizionali.
Spesso sono richieste di competenza elevata. Innovazioni tecnologiche e di prodotto: sviluppare nuovi prodotti, servizi, tecnologie, strumenti sostenibili rivolti a vari mercati e attenti alla dimensione territoriale.
Costi green supplementari: fare analisi costi-benefici delle azioni intraprese e da intraprendere per abbassare i costi aggiuntivi delle scelte green. Finanziamenti per scelte verdi: reperire i finanziamenti a supporto dell' introduzione di sempre maggiori modifiche di sostenibilità ambientale.
Investimenti nella ricerca: aumentare gli investimenti nella formazione e nella ricerca dove convergono discipline diverse (biologia, chimica, fisica, scienze politiche, economia ed ingegneria ecc.). Innovazioni organizzative: innovare insieme alle tecnologie e al digitale, anche "il modo di fare le cose”, gli aspetti organizzativi e di sistema dell'impresa, seguendo l'esempio dell'economia circolare. Incentivi diffusione innovazioni: richiedere alle istituzioni di adottare politiche che aiutino le innovazioni a diventare realtà, a diffondersi.
Non sarebbe meglio individuare e democratizzare il dibattito/scelte a cui vorremmo partecipare tutti? La partecipazione non deve essere uno strumento per bloccare sempre tutto, ma per accelerare la trasformazione, che non avviene senza di essa.
Alcuni punti declinabili sul territorio vicino a noi: a- le centinaia di imprese di servizi (utilities) gestite dagli enti locali sono focalizzate sulla transizione energetica e ecologica; b- quali incentivi e meccanismi premiali affidabili sono messi in atto per chi riduce il proprio impatto ambientale; c- mettere da parte un certo campanilismo verso la propria terra (che spesso non è affatto amore) che impedisce di fare alleanze in altri investimenti coordinati, progetti di scala, concreti, a favore del proprio territorio anche se è un territorio oggi senza grandi risorse, ma capace di valorizzare quello che possiede e attrarre nuove energie; d- Arpa e Università e Politecnici operando in ambiti territoriali ampi, possono utilizzare le loro competenze e cercarne altre per decisioni politiche meno improvvisate, attuate con meccanismi di controllo; e pensare a priori, come atto di prevenzione, misure capaci di ridurre le conseguenze di scelte ambientali necessarie e rapide, che influiscono in termini di reddito e di riduzione di occasioni per chi è bloccato su settori tradizionali. È una traccia che si può allungare.
Sottolineavo questo aspetto perché come è possibile fare riconversione ecologica senza la vitalità progettuale di Comuni e Comunità montane, senza la scommessa delle aziende comunali, di utilities grandi e piccole, di gestori dei servizi urbani? Giuseppe De Rita parla di povertà attuativa senza mezzi termini: i canali istituzionali discendenti non funzionano a partire dalle amministrazioni statali. Si cercano società di consulenza esterne che non sempre sanno misurarsi con i processi dell'amministrazione pubblica.
Si ricorre allo strumento dei bandi che cercano di individuare chi ha idee, progetti, voglia di fare, ma forse solo grandi Comuni e grandi imprese sono in grado ci presentarsi come adeguati.
Sarà dura la capacità progettuale, ma ancora più dura la capacità attuativa e la capacità di spesa.
Osservate attentamente se la classe politica italiana offre oggi spazi e soluzioni?
Sui media si trova poco. L'interrogativo è grande "come una casa".
Si rischia di trovarsi impreparati.

Anche qui facciamo esempi per capirsi.
Il governo, usando i fondi europei, pare impegnato con piani per una rete elettrica nazionale intelligente, in grado di gestire le rinnovabili altalenanti e poi l'uso delle auto elettriche. Poi diffusione delle centraline per le auto elettriche (6 milioni di auto elettriche al 2030). Ma anche sostituire con auto purché nuove (senza distinzione di alimentazione) i 12 milioni di auto fortemente inquinanti. Per andare in direzione di cambiamento del sistema energetico bisogna installare numeri enormi di impianti di fonti rinnovabili, con semplificazioni burocratiche.
L'obiettivo pare essere al 2030 il 72% di energia elettrica prodotto con le rinnovabili in Italia (significa 8 gigawatt all'anno). Al 2025 fine dell'utilizzo del carbone. Altri punti sono da definire.
Ad esempio. Ogni zona o regione dovrà installare impianti per trattamenti di riciclo dei rifiuti in modo da essere autonomo. Così come impianti di depurazione delle acque e di gestori anaerobici per il trattamento della raccolta differenziata dell'organico, gli scarti agricoli e i fanghi di depurazione. E poi una politica territoriale di attenzione al suolo e alle situazioni compromesse e a rischio dagli eventi meteorologici.
Con quali informazioni e qualità dei progetti? Ci sono anche modifiche giuridiche e legislative da introdurre per recepire nuovi parametri. Ad esempio come realizzare valutazioni ambientali efficaci e coerenti, senza essere un impiccio che frena l'economia, ma nello stesso tempo si sia in grado di introdurre gli effetti ambientali nelle attività per evitare le ricadute che ci hanno portato a grandi guai in troppe situazioni oggi.
Sono stati istituiti dei comitati tecnici di valutazione per capire l'impatto delle misure ambientali europee sui settori economici tradizionali (sarebbero almeno 1/10 degli occupati nel settore privato) che in tempi e modalità diverse avranno dei problemi. Sono già usati da molti per scatenare un populismo estremo a fronte di problemi veri. Invece chi è più responsabile si sta collocando dentro ad un'impostazione che dice: non possiamo fermare il cambiamento rapido già avviato, bisogna organizzarci per non subirlo, e per coglierne al meglio le opportunità.
Ma non siamo così pronti e scattanti come per le Olimpiadi. Bisogna dirci che siamo in ritardo e che ci vuole una forte spinta per definire le politiche di ricollocamento, formazione, indirizzi industriali e di consumo, che bisogna correre, seppure con giudizio.
Certo: tutti questi esempi ci dicono che è molto più difficile che ridurre il mondo a vero e falso.


Carlo Degiacomi
NP agosto / settembre 2021

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