Un mondo armato

Pubblicato il 31-03-2021

di Lucia Capuzzi

Le cause di conflitto sono tante, ma il risultato è sempre lo stesso: distruzione e crisi umanitaria. Dobbiamo fermarci e chiederci: cosa ha portato alla normalizzazione del conflitto nel mondo? E, soprattutto, come convertire il nostro cuore e cambiare la nostra mentalità per cercare veramente la pace nella solidarietà e nella fraternità? Quanta dispersione di risorse vi è per le armi, in particolare per quelle nucleari, risorse che potrebbero essere utilizzate per priorità più significative per garantire la sicurezza delle persone, quali la promozione della pace e dello sviluppo umano integrale, la lotta alla povertà, la garanzia dei bisogni sanitari. Anche questo, d’altronde, è messo in luce da problemi globali come l’attuale pandemia da Covid-19 e dai cambiamenti climatici. Così papa Francesco

All’umanità, fragile e disorientata in questo momento di crisi, ma, al contempo, forse più consapevole di trovarsi sulla stessa barca, papa Francesco offre la «bussola per una rotta comune» verso la pace. Una «rotta veramente umana» non può che essere basata sulla «cura» di ogni persona, soprattutto dei più fragili. Ciò vale per gli individui come per le nazioni. Per questo, il Messaggio per la 54ª Giornata mondiale della pace del primo gennaio, si rivolge, in conclusione, ai «responsabili delle organizzazioni internazionali e dei governi», ai quali viene lanciata una provocazione: «Che decisione coraggiosa sarebbe quella di “costituire con i soldi che s’impiegano nelle armi e in altre spese militari un “Fondo mondiale” per poter eliminare definitivamente la fame e contribuire allo sviluppo dei Paesi più poveri”».

Il Pontefice ne aveva già parlato il 16 ottobre, nel videomessaggio per la Giornata dell’alimentazione, suscitando interesse all’interno della comunità internazionale. L’idea di fondo era stata, però, ventilata da Paolo VI. Francesco fa fare alla proposta un “salto magisteriale”, collocandola all’interno dell’enciclica Fratelli tutti. E ripresentandola in occasione dell’attuale Giornata della pace.

Un’utopia? Nient’affatto. È la stesso preambolo della Carta delle Nazioni Unite a chiedere al mondo di salvare le future generazioni dal flagello della guerra ed impiegare strumenti internazionali per promuovere il progresso economico e sociale di tutti i popoli.
Mai come quest’anno tante persone hanno potuto toccare tragicamente con mano quanto sia necessaria una differente destinazione delle risorse pubbliche. Questa primavera, con l’esplosione della pandemia, abbiamo visto mancare i soldi per i dispositivi sanitari di emergenza. Nello stesso periodo, l’ultimo rapporto dello Stokholm international peace research institute (Sipri) ha denunciato un incremento record delle spese militari nel 2019, come non accadeva da dieci anni, afferma Lisa Clark, vicepresidente di Beati i costruttori di pace e co-presidente dell’International peace bureau (Ipb), la più antica organizzazione pacifista mondiale, premiata con il Nobel nel 1910. L’anno scorso, ben 1.910 miliardi di dollari sono stati spesi in armi iper-sofisticate, il 3,6 per cento in più rispetto al 2018.
E nel 2020, per quanto i dati non siano ancora disponibili, non sembra che la pandemia abbia rallentato gli investimenti in armamenti. Eppure il mondo non è diventato un posto più sicuro, come dimostra il proliferare di tensioni che le conseguenze del virus rischiano di acuire. «In tempi che si prospettano economicamente critici per tutte le nazioni, incluse le grandi potenze, diminuire i fondi destinati alla corsa agli armamenti per dedicarli alla ripresa economica è in realtà una scelta strategica per gli Stati che desiderano mantenere la preminenza all’interno del sistema internazionale», ha spiegato Alessio Pecorario, coordinatore della Task force di sicurezza della Commissione vaticana per il Covid-19 e officiale del dicastero per il Servizio dello sviluppo umano inte-grale. Del resto, l’opinione pubblica fa sempre più fatica ad accettare la corsa al riarmo. Una dimostrazione in tal senso è stata la battaglia portata avanti dalla società civile – attraverso la International campaign against nuclear weapons (Ican) – per far dichiarare “illegittima” l’atomica. Il Trattato, approvato dall’Assemblea generale Onu il 7 luglio 2017, è entrato in vigore lo scorso 24 ottobre. Cambiare direzione è possibile, oltre che necessario. Come afferma Lisa Clark, storica collaboratrice di Ican: la mobilitazione dal basso che ha portato al divieto delle armi nucleari ha dimostrato il potere della società civile. Quest’ultima ora può adottare molte strategie di pressione sui governi per ridurre gli investimenti militari. Prima fra tutte la campagna per il disinvestimento da parte di banche, fondi pensioni e assicurazioni nelle aziende produttrici.

Le parole del Papa, oltre che realizzabili, sono una potente fonte di ispirazione. «Il peccato più grande che possiamo commettere è rassegnarci alla normalizzazione della guerra». Parole che richiamano la conclusione del Messaggio: «Non cediamo alla tentazione di disinteressarci degli altri, specialmente dei più deboli, non abituiamoci a voltare lo sguardo, ma impegniamoci ogni giorno concretamente per “formare una comunità composta da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri”».


Lucia Capuzzi
NP gennaio 2021

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