Il bene va fatto in silenzio, così è la Torino migliore

Pubblicato il 17-11-2016

di Michele

Corriere della sera - AGENDA ITALIA - Torino: gli orizzonti da esplorare
Mercoledì 16 novembre 2016
Il bene va fatto in silenzio, così è la Torino migliore di Michele Farina

 


Il bene va fatto in silenzio, così è la Torino migliore 

di Michele Farina

Dove c’era una fabbrica di armi, nel cuore della vecchia Torino, c’è una fucina di dialogo unica al mondo. La scritta sul muro principale è tutta un programma: “La bontà è disarmante”.

Da oltre 30 anni l’Arsenale della Pace, in piazza Borgo Dora, ha un posto speciale nel cuore (non solo) dei torinesi. Meriterebbe un posto nei libri di storia patria e nelle guide di viaggio, accanto al Museo Egizio e vicino ai nomi di quanti (non molti) lavorano per migliorare silenziosamente il nostro pianeta. E’ qui che ha sede il Sermig, Servizio Missionario Giovani, fondato oltre mezzo secolo fa da un uomo chiamato Ernesto Olivero e dai suoi amici. Ragazzi ventenni che volevano “essere un punto di incontro, uno strumento contro tutte le ingiustizie. Aiutare tutti, far dialogare tutti: credenti e non credenti, senza il fermaglio di nessuna ideologia”.

L’hanno chiamato “imprenditore del bene”. Olivero è nato in un paesino del Sud, mamma avellinese, papà del Piemonte. E’ cresciuto a Chieri, fibbia della cintura industriale che cingeva Torino, ultimo di nove figli. “Quando ero piccolo, leggere i cartelli ‘non affittasi a meridionali’ era una pugnalata al cuore”. Entra nell’ex Arsenale Militare un giorno di agosto del 1983. Nella borsa una bibbia, due libri di Amendola, un crocifisso donato dai carcerati. E’ una fabbrica e una ex polveriera in disuso, mezza diroccata, enorme, sinistra, di circa 50 mila metri quadri sulla riva placida della Dora. In origine era una segheria. Nel 1580 i Sabaudi rimpiazzano le seghe con le macine per produrre polvere da sparo.

Quattro secoli dopo, centinaia di volontari partecipano alla più straordinaria delle trasformazioni. Una fabbrica di armi diventa un Arsenale della Pace dove oggi ruotano mille volontari. Accoglie ragazzi di ogni provenienza, li aiuta a trovare una strada. Organizza incontri a cui partecipano decine di migliaia di giovani. Nasce una scuola di artigianato e di restauro, un Laboratorio musicale di eccellenza, l’Università del Dialogo...

Lo stile è quello della Torino migliore. “Un mondo un po’ defilato, che opera senza clamore. “Migliaia di persone ci amano perché siamo silenziosi. E’ grazie al loro contributo che andiamo avanti. Parlano i fatti. A me piace molto la modestia di Torino, che è un po’ la nostra. Magari un po’ troppo defilata. Ma meglio esagerare sulla riva della discrezione piuttosto che su quella opposta”.

Parlano i fatti. Nei primi anni Novanta l’Arsenale della Pace è il primo a praticare l’accoglienza. “Un giorno un ragazzo di vent’anni punta il dito verso di me: ‘Tu Olivero, dove dormi stanotte? Lo sai che la tua città offre in tutto venti posti, venti posti a chi non ha un luogo dove dormire?’. Quella notte sono andato a dormire alla stazione, per vedere, capire. E dal giorno seguente l’Arsenale ha cominciato ad accogliere. Cento, duecento, trecento persone…”.

Oggi sono duemila a notte. “La diversità come ricchezza”. Bontà che è anche “severità”. Per capire la diversità di quanti bussavano alla nostra porta siamo andati nei loro Paesi. Per imparare. Per dare regole all’accoglienza. Il rispetto, la non violenza, lo stato di diritto. Imparare l’italiano all’Arsenale diventa un obbligo, tra virgolette. Così per esempio quanto si giocava a calcio, “chi non si sforzava di parlare italiano veniva espulso dall’arbitro. Adesso abbiamo una squadra multietnica fortissima”. Oltre al calcio, c’è anche il cricket tanto amato dagli afghani. “Abbiamo appena fatto un torneo con 8 nazioni”.

Una frivolezza a proposito di pallone: juventino o torinista? “Juventino. Perché da piccolo mio fratello era del Toro e io dovevo distinguermi”. Contento dell’acquisto di Higuain? “Sì, anche se avrebbero dovuto pagarlo meno”. E la Fiat che si allontana da Torino? “Diciamo che gli Agnelli dovrebbero fare per l’Italia quello che hanno fatto per la Juve”. L’imprenditore del bene era molto amico di Umberto Agnelli. Si può portare lo stile Torino in giro per il mondo, senza però staccare le radici. Dal Brasile al Medio Oriente, l’Arsenale della Pace ha attecchito lontano da Borgo Dora. La casa in Giordania accoglie 250 bambini disabili al giorno. A San Paolo ha trasformato in un Arsenale del bene che accoglie 1.300 persone al giorno un vecchio ospedale dove oltre un milione di nostri connazionali sono passati per la quarantena, quando anche gli italiani erano un popolo di migranti.
La memoria della nostra storia, come la bontà, è disarmante.

Michele Farina

 

 

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