Volevamo solo la pace!

Pubblicato il 03-11-2023

di Matteo Spicuglia

Facile la guerra. Facile farla, parlarne, discuterne. Per nulla facile viverla. Oggi come ieri. Jasminko Halilovic era un bambino nella Sarajevo degli anni ’90. Una città martire, vittima dell’assedio più lungo dai tempi della seconda guerra mondiale. Quattro anni, dal 1992 al 1996, senza acqua, luce, gas, sotto il tiro dei cecchini. Jasminko è stato testimone di uccisioni, ferimenti, violenze atroci. Come lui, 70mila bimbi prigionieri nella città circondata. «Anche oggi a Sarajevo il tempo si misura così: prima, durante e dopo la guerra. Il mio prima della guerra è nei ricordi, – scrive – il mio durante è dentro di me». Il dopo è in una testimonianza luminosa che dà corpo alla verità che esce dalla bocca dei piccoli. L’idea di chiedere a chi aveva vissuto la stessa esperienza di rispondere ad una domanda: «Com’è stata la tua infanzia in guerra?».
Risposte arrivate a migliaia, raccolte oggi nel libro Infanzia in guerra, l’eredità di una generazione ferita che anche oggi non smette di parlare.

- Mi ricordo del cielo infuocato quando provavo a guardare le stelle attraverso la finestra al buio (Minela, 1989).
- Adolescenza e primo amore nel luogo più crudele… (Jasminka, 1977).
- Crusca a colazione, pranzo e cena (Miran, 1989).
- Iniziai a crescere, tutto si fermò. Ho perso tutto… (Kenan, 1979).
- Infanzia in guerra è quando hai una cotta per la tua compagna di scuola e lei viene uccisa da una granata (Jasenko, 1977).
- Sento urlare, gridare, piangere, tensione, paura. La mamma mi tiene stretta e mi sento protetta e amata (Elma, 1989).
- Aspettare che il nonno ritorni dal mercato, ma non è ancora tornato (Zlata, 1984).
- Il vuoto che rimane quando papà se ne va (Svjetlana, 1992).
- Il riflesso del sole del mattino nelle strade ricoperte di vetri (Damir, 1987).
- Mani e piedi congelati mentre aspetto in coda per prendere l’acqua (Denita, 1977).
- Mangiare una cipolla fingendo che sia una mela perché non ne hai mangiata una da mesi (Amina, 1985).
- Ho sognato carne e cioccolata (Nedim, 1978).
- Sangue che cola dalla testa di mio padre sulla stufa bianca lucente (Mirnesa, 1984).
- Quaranta metri quadri di cantina e 17 persone (Edin, 1987).
- Ho visto caricare i miei amici morti su un camion, mentre l’acqua delle cisterne lavava via il loro sangue (Amna, 1985).
- Mi ricordo la notte in cui papà disse: la mamma è morta. Mi ricordo le parole: tuo papà è morto. Maledetta guerra! (Mirela, 1981).
- Essere costretta a crescere (Marina, 1976).
- Dormire nella vasca da bagno perché era il posto più sicuro di casa (Adnan, 1986).
- Una coperta tagliata in due con le forbici tiene caldo, ma solo se non fa freddo (Damir, 1989).
- Non esiste l’infanzia. La perdi quando impari a riconoscere il calibro delle granate e dei fucili (Dalida, 1980).
- Chiedere: «Ma quindi il cervello è rosa?» dopo aver visto un cadavere (Irena, 1980).
- L’omicidio di mio padre (Kasema, 1989).
- La solita domanda: cosa farà domani mamma da mangiare con niente? (Amira, 1986).
- Mi ricordo la mia Selma. Ci sedevamo vicine a scuola, nonostante avesse una sorella gemella. Il giorno in cui venne uccisa, diventai grande (Suncica, 1982).
- Non c’è più legna, tocca ai libri. Finisco di leggere e poi getto il libro nel fuoco. È terribile, ma dobbiamo fare il pane (Iris, 1978).
- La speranza che domani sarebbe stato un giorno migliore (Kabir, 1981).
- Volevamo solo la pace (Sabrina, 1988).


Matteo Spicuglia
NP ottobre 2023

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