L'autorevolezza di Gesù

Pubblicato il 22-01-2014

di Andrea Gotico

Ogni martedì alle ore 20.30 la Fraternità, gli amici e volontari del Sermig e tutti coloro che lo desiderano si ritrovano all'Arsenale per rinsaldare le motivazioni del loro cammino, con l'aiuto del silenzio, della Parola di Dio e della musica. Ogni volta uno di noi della Fraternità offre degli spunti di riflessione e testimonianza a partire da un brano della Parola di Dio.
La rubrica "I martedì del Sermig" desidera condividere con voi questi spunti. Per rinnovare la speranza.


Commento a Matteo 21,12-27

È singolare che a raccontare Gesù che rovescia i banchi del tempio dove si commercia, sia Matteo il pubblicano, uno che riscuoteva le tasse per conto degli odiati romani. In pratica un ladro legalizzato, un usuraio, un traditore del suo popolo; così erano visti i pubblicani in Israele. A lui Gesù però non ha rovesciato il banco, gli ha fatto di peggio.

Gli ha detto: “Seguimi”. E il banco lo ha rovesciato lui da solo. In maniera definitiva. Questo brano di Vangelo mi rammenta in modo prepotente la conversione di Matteo: lui, al contrario di altri, era pronto a rispondere sì. In questa pagina si ripete sette volte in maniera diretta o indiretta la parola “tempio” oppure “casa”. Non è un caso.
Gesù qui non parla del tempio di Gerusalemme, parla di noi. Parla dell’uomo e della donna, che san Paolo, con felice intuizione, anni dopo definisce tempio dello Spirito Santo. Se leggiamo in quest’ottica, sostituendo la parola tempio o casa con umanità, allora questo brano diventa attuale come il giornale di oggi. Che fa Gesù quando viene in mezzo a noi, nel cuore di ogni uomo? Fa pulizia, butta via le cose che non c’entrano, fa verità. Ci dà la gioia – Osanna al Figlio di Davide – quella vera, quella che sgorga con foga dal cuore di ogni uomo, non quella che si vende appunto al mercato. Ma ci fa anche sdegnare, ci scandalizza, rompe la nostra abitudine, il nostro noioso tran tran a cui siamo abituati. Ci porta il fuoco.

Ma lo fa come un Dio guerriero e dominatore, con la furia di un eroe dell’antichità, ci prende per il collo fino a quando non confessiamo il nostro peccato? Non è il suo stile. Dopo aver scosso scribi e farisei, prepara una gustosa scenetta per i suoi discepoli. Approfitta di una pianta – in un altro Vangelo si dice persino che non era la stagione adatta per trovare i frutti – per descrivere la grandezza dell’uomo quando fa di Dio il suo alleato. Gesù ci dice: voi siete così, potete cose che adesso vi sembrano impossibili, se avete fede. Fede, cioè fiducia, confidenza illimitata con un Dio che ci vuole grandi, come Lui.
Che ci chiede di seguirlo senza timore, credendo che la via che Lui traccia è quella giusta, perfetta per noi. Dio diventa così ospite dell’uomo. “Io sto alla porta e busso” dice l’Apocalisse.
Io, il re dei re, il Signore dei signori, sono lì, alla tua porta, come un pezzente e chiedo umilmente il tuo amore al solo scopo di renderti felice. Se prima o poi mi apri la porta del tuo cuore, della tua mente e mi accogli, ecco, tutto questo avverrà. Però fate attenzione, ci dice ancora Gesù. Fate attenzione a come guardate, ascoltate, parlate.

Gesù risponde con una domanda ai capi di scribi e farisei – e quindi a noi – per capire se stanno ascoltando, se sono capaci di farlo. Nega loro la risposta perché si accorge che hanno già la loro, non si mettono in discussione per capire se è giusta o sbagliata. Parlano, guardano e ascoltano con malizia, solo per metterlo in difficoltà. Non credono che Dio possa diventare ospite dell’uomo, desideroso della sua felicità. Ecco allora venir fuori il peccato, che non è solo un’offesa a Dio, non è solo non rispetto delle regole, ma è soprattutto ciò che fa male all’uomo, è la negazione della sua felicità. Ma allora, se tutto questo è vero, cosa posso fare io povero peccatore per essere abitato da Dio, per fargli spazio? Ad esempio, curare la mia vocazione, cioè la strada che Dio ha pensato per me. Se non l’ho ancora trovata, cercarla. Se penso di averla trovata, custodirla, irrobustirla, coltivarla. Fare spazio a Dio significa dargli del tempo, così, senza guardare troppo l’orologio. Pregare in fondo è questo. Stare davanti a Dio nudi, così come siamo, senza tutti i trucchi del nostro repertorio, con tutte le nostre miserie e piccinerie, ma anche con nostri pregi e qualità. Mettere tutto lì davanti e dirgli: “Io sono così. Mi vuoi? Se mi vuoi prendimi, Signore”.

Se entriamo in questa logica, la nostra vita a poco a poco cambia. Non mancheranno le tribolazioni – è ancora la Bibbia che ce lo conferma – ma ci sarà la pace, quella pace profonda che solo Dio può dare. Il tempo liturgico della Quaresima, ci aiuta in tutto questo. Ci chiede l’essenzialità della nostra vita, il digiuno che non è solo non mangiare, ma digiunare da tutti quegli aspetti della nostra vita che non seguono la logica di Dio. Ci chiede di fare pulizia, come Gesù nel tempio, per poter alzare lo sguardo verso il giorno senza tramonto della Pasqua, quando Dio sarà tutto in tutti.

Gianni Giletti
Fraternità della Speranza

More info: I martedì del Sermig

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