Diamoci una mano ad invecchiare

Pubblicato il 31-08-2009

di Corrado Avagnina


La fatica dell’anziano è spesso accompagnata dalla solitudine, nel 30% dei casi dalla depressione. I farmaci non sono sempre la cura più adeguata.

di Corrado Avagnina


Ora sembra la stagione delle badanti. Arrivano dall’Est europeo e sono disposte ad accollarsi una assidua assistenza domiciliare agli anziani con problemi. Nello stesso tempo spopola la tv, non solo come risparmiosa baby-sitter per i più piccoli, ma anche come compagna di vita di tanti che, giunti alla terza o quarta età, si ritrovano soli in casa. Con queste soluzioni (ed altre magari più mirate) ci si mette il cuore in pace, senza preoccuparsi ulteriormente, dentro questa società che va di fretta e non ha tempo per chi rallenta.
Invece ci sono ferite più profonde che spesso non emergono ma che incidono marcatamente nelle condizioni di vita degli anziani, anche al di là della stessa solitudine che pure aggrava la situazione.

Nel mese di gennaio ’07 a Brescia si è tenuto un Convegno su “La depressione nell’anziano”. Il confine labile tra disagio e malattia. Ecco la complicazione micidiale e silenziosa, che inguaia ormai in proporzioni piuttosto allarmanti. Infatti questo male oscuro del nostro tempo, la depressione appunto, colpisce in misura tre volte più frequente la terza età, rispetto al resto della popolazione. Le statistiche ci dicono che questa patologia dell’animo coinvolge l’8% degli italiani. Ma tra chi ha più di 65 anni la percentuale sfiora il 30%.

Indubbiamente l’invecchiare non è esperienza priva di contraccolpi, non solo debilitanti per il fisico. Si fa fatica a metabolizzare il tempo che passa, a percepire debolezza ed inadeguatezza, ad essere sorpassati dalle altre generazioni, a sentire il fardello degli anni, a guardare comunque al tramonto. Psicologicamente si può reagire in modi diversi. Purtroppo un esito, non infrequente appunto, è quello di cadere nelle spire, impalpabili ma devastanti, della depressione.

Forse - senza essere specialisti - sta in questo snodo esistenziale quella che potremmo chiamare una praticabile prevenzione. Si tratta di acquisire - con l’aiuto di chi può farsi prossimo delicatamente - quella capacità di assumere i propri limiti in aumento con gli anni, senza patire troppi rimpianti, senza credersi sempre giovanotti, senza mascherare la propria età, ma gestendo la vecchiaia con un realismo tranquillo, consapevole, adeguato. Chissà se sappiamo darci una mano in questo senso? Chissà se invece ci lasciamo contagiare da miti improponibili e deludenti che nascondono gli acciacchi facendo finta che la vita non patisca limitazioni mai?

Insomma, sembra urgente l’invito serio ad invecchiare bene. In questo esercizio si può riuscire non perché si nega (o ci si nega) l’evidenza, ma perché si guarda in faccia ciò che si è inevitabilmente, senza finzioni (pie od illusorie). Meriterebbero probabilmente un po’ di salutare radiografia tanti atteggiamenti e discorsi, dentro la terza età ed alla terza età: si fa il percorso vero della vita che va consumandosi o si indirizza su derive psicologiche da sconfitta?

Poi però c’è la malattia vera e propria, che prende purtroppo in modo latente e corrosivo, dentro. C’è anche un dato emerso in quel Convegno a Brescia che preoccupa: meno del 30% dei depressi, nella terza età, viene diagnosticato e di esso solo la metà ce la fa ad uscire dal tunnel. Insomma la depressione è una mina vagante, di cui ci si accorge soltanto in un caso su tre. Se è vero quel che dicono gli studiosi, cioè che l’anziano depresso vive peggio e vive meno, occorre risvegliare un’attenzione raddoppiata, perché i più deboli si moltiplicano tra noi, senza che l’avvertiamo e senza saper che fare.

E non è sufficiente l’antidepressivo. Nessuno deve sostituirsi al medico, ma ognuno può spendere amicizia, calore umano, attenzione... in misura continuativa. Non accontentandosi delle pur lodevoli consuetudini di creare parentesi di festa per gli anziani che poi - terminati quei momenti - ripiombano nei loro affanni e nelle loro ansie, o, peggio, nelle loro solitudini ancora più pesanti... Forse la prossimità non sconfiggerà del tutto il rischio di depressione, ma almeno ci avrà provato...

Corrado Avagnina
da Nuovo Progetto febbraio 2007

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