Due vite spese per gli altri

Pubblicato il 01-06-2024

di Redazione Sermig

Solo in Paradiso scopriremo tutte le connes­sioni, tutti i canali in cui la Grazia scorreva attraverso il “meta­bolismo” di noi tutti, piccole cellule di quel grande corpo che è la Chiesa... Essa passava da una “cellula” all’altra, là dove ognuno propi­ziava la grazia per l’al­tro, componendo il tutto in un unico Amore formante la comunione nell’agape fraterna. Sono parole di padre Mario Airoldi un carissimo amico della nostra fraternità, oblato diocesano dei santi Gaudenzio e Carlo, in servizio presso il santuario di Boca (NO), tornato alla Vita lo scorso 23 gennaio. In un ritiro spiritua­le a noi dedicato descri­veva così la Comu­nione dei Santi, questo mistero grande e consolante, regalo del Padre, in cui tutti siamo e saremo presenti gli uni gli altri nella scelta di un abbrac­cio senza fine.

Ricordiamo i ritiri che ci ha predica­to, e in particolare uno di cui voglia­mo riportare alcu­ni insegnamenti: «Il discorso del perdono ai nemici e del por­gere l’ altra guancia da un punto di vista umano ci sembra così impossibile da prati­care che non tentiamo neppure di farlo. Nell’ infame processo che stava subendo da­vanti al Sinedrio, alla presenza del Sommo Sacerdote, il servo di quest’ ultimo a motivo di una squallida adu­lazione gli diede uno schiaffo. Gesù non porse l’ altra guancia, ma rispose: “Se ho sbagliato, dimmi dove ho sbagliato e se non ho sbagliato dimmi con quale diritto mi percuoti”. Gesù non ha risposto con violenza alla violenza fattagli, ma ha fatto molto di più: ha messo il suo interlocutore in crisi con la sua coscienza». Grazie, padre Mario: ti abbiamo voluto e ti vorremo bene per sempre!

Poco tempo fa un altro amico, Rodolfo Venditti, ci ha lasciati; un uomo integro, che nella vita ha svolto il suo lavoro di magistrato in modo attento all’uomo, rispettoso anche verso chi aveva sbagliato. La sua lunga vita (durata quasi cent’anni) è intessuta di onestà intellet­tuale e fede in Dio, unite quasi come in una sinfonia – era un valente musico­logo – e accompagnate da un amore alla verità imparato sin da ragazzo. «Io ho fatto per tutta la vita il giudice; è un lavoro bellis­simo e ricco di umanità, che in un mio scritto ho definito servizio all’uomo e nel quale il giudice ha il compito essenziale di accertare la verità, senza lasciarsi condi­zionare da nessuna ingerenza esterna».

Indipendenza di pensiero e di azione alimentata dalle costrizioni subite: «Quando la seconda guerra mondiale iniziò, io avevo 14 anni. Avevo vissuto la mia infanzia sotto il fascismo, sperimentando pur da ragazzino che cosa significasse vivere in un regime dittatoriale, dove non c’era libertà di manifestazione del pensiero, dove esisteva un partito unico che control­lava la stampa e la radio, dove c’era il divieto assoluto di leggere giornali stranieri e di ascoltare radio straniere, dove il dissenso era criminalizzato e gli oppositori politici venivano eliminati … Uscire da quella guerra e da quel regi­me fu come nascere a una nuova vita. Insieme a tanti altri italiani e italiane, io sentivo la necessità di fare in modo che quella terribile esperienza non si ripetesse». Il primato della coscienza lo afferma anche con la convinta adesione all’obiezione di coscienza alle armi e alla guerra, tema su cui scrisse un saggio. Grazie Rodolfo per aver condiviso molte volte con noi il tuo pensiero attraverso incontri e articoli per la nostra rivista, grazie per il tuo esempio di umiltà e disponibilità verso tutti.


A cura della Redazione
NP aprile 2024

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