Le madri di Kabul

Pubblicato il 23-12-2021

di Rosanna Tabasso

Tra le immagini arrivate da Kabul non posso dimenticare le sequenze drammatiche delle madri che lanciano i loro bambini oltre la recinzione dell'aeroporto, tra le braccia dei soldati americani. Non sanno a chi li affidano, non sanno cosa sarà di quei bambini che forse non vedranno più, eppure non indugiano nel gesto estremo di chi vuole salvare il bene più prezioso.

Scelgono la via difficile del distacco per offrire ai propri figli le possibilità che loro non hanno avuto e, comunque sia, sono certe di lanciarli verso una vita migliore. Queste donne hanno iniziato un processo di emancipazione, hanno conosciuto la libertà di scegliere per se stesse e per i propri figli e ora vivono la disperazione di tornare indietro, chiuse non solo nei loro abiti ma nella stessa possibilità di esprimersi, di essere ciò che sono, chiuse in costrizioni culturali e religiose, chiuse nella paura.

Perché le abbiamo abbandonate mentre stavano trovando la loro strada? Perché le abbiamo lasciate sole? Dopo aver aperto loro la strada quali garanzie offriamo perché il loro inizio di libertà non venga represso nella violenza? Domande dolorose che per ora non trovano risposta. Dolore che non può sciogliersi in vicinanza, in aiuto reso a qualcuna di loro. Forse gli afghani non volevano combattere con le armi, ma molti di loro, molte donne combattevano vivendo la loro nuova vita da persone libere e ora non possono essere lasciate sole! Il pensiero di tanti che hanno perso la speranza, di tanti abbandonati in mano ai loro persecutori, riempie il silenzio e anche la preghiera diventa un tutt'uno con il loro grido di dolore.

In questi giorni la preghiera segue quei volti sconosciuti e ce li rende presenti, familiari. Le parole del salmo (35,17) che preghiamo diventano la loro voce, la voce di tutti gli oppressi che sale a Dio attraverso di noi: «Fino a quando, Signore, starai a guardare? Libera la mia vita dalla loro violenza, dalle zanne dei leoni l'unico mio bene». Non è Dio la causa di tanto male, non è lui a volerlo, nemmeno quando viene usato il suo nome per compierlo. Dio non si compiace del male (Sal 5,5).

Dio è Padre e si commuove come una madre per i suoi figli che soffrono. La preghiera che gli è gradita è che ci rivolgiamo a lui come ci ha insegnato Gesù, chiamandolo Padre. Dio ascolta la preghiera di Gesù che guarda la sofferenza della sua gente e si commuove e ripete e continua a ripetere: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28).

Uno sguardo che segue i più deboli ma poi si allarga a tutti, persino agli aguzzini che l'hanno crocifisso: «Padre perdonali perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).

Ed è in questa grande preghiera di Gesù che si inserisce la nostra. A poco a poco anche il nostro cuore si dilata, diventa un cuore di carne, capace di patire-con: «Il compatire è sapersi mettere veramente nei panni dell'altro; il ferito, il deluso, il tradito… con amore e responsabilità» ci ricorda la nostra regola. Così a poco a poco prendono forma gesti di bene, attenzione alle persone, disponibilità ad accogliere. Cresce la capacità di amare e il senso di responsabilità. Stare con Gesù è ricercare vie di pace, di convivenza, di dialogo, di giustizia.

Negli Arsenali trasformati in luoghi di pace ce lo ricordiamo in continuazione: la bontà è disarmante. Anche in questi giorni la preghiera per il popolo afghano anticipa gesti di fraternità, che si realizzeranno quando e come sarà possibile, fa crescere il desiderio di farsi prossimi alle vittime della violenza, prepara ogni forma di accoglienza. Prima ancora di sapere cosa potremo fare per le ragazze, per le donne afghane e per i loro bambini, li portiamo nella preghiera perché Dio, Padre di tutti, apra strade per i loro passi di libertà.

Pregare con Gesù, come lui, con lui, mette in movimento il bene che c'è in noi e lo allarga all'umanità intera, cancellando ogni distinzione tra vicino, lontano, italiano, straniero… Ci rende capaci di operare perché il regno di Dio si estenda sulla terra e nella storia delle persone, dei popoli, delle nazioni. Le immagini delle donne di Kabul e dei loro bambini ce lo ricordano. E il Vangelo ci ricorda che stare con Gesù è stare sempre dalla parte degli oppressi.

Rosanna Tabasso

NP Agosto-Settembre 2021

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