Nella tasca dei poeti

Pubblicato il 12-05-2024

di Matteo Spicuglia

Un corpo a corpo con la parola. Per quell’unica parola che nasce dentro e permette di dare un nome alla vita e alle cose. Il poeta non sa fare altro. Fino alla fine, anche quando è spogliato di tutto. Così in ogni luogo, in ogni tempo.

Daniel Varujan è stato uno dei più grandi poeti armeni. Finito anche lui nel gorgo del genocidio del 1915, ucciso a pugnalate a appena 31 anni. Forse aveva capito tutto quando erano venuti a arrestarlo. Non c’era spazio e tempo per salvare molto, ma il suo tesoro sì. In un deposito di beni sequestrati agli armeni, finirono anche i suoi vestiti. Nessuno avrebbe immaginato di trovare nella sua tasca Il canto del pane , il suo capolavoro dato per perduto, eppure custodito come la cosa più preziosa.

Scorrono gli anni, cambiano le epoche, ma i poeti no. È come se si passassero il testimone. Un secolo dopo, le tragedie dei migranti nelle traversate del Mediterraneo.

C’è anche Tesfalidet Tesfom su una di quelle barche. Ha 23 anni, è partito dall’Eritrea, imprigionato a Bani Walid, uno dei campi di detenzione più spietati della Libia. Viene salvato alla deriva da una nave di Open Arms, il primo a sbarcare al porto di Pozzallo. Sta malissimo, non riesce quasi a camminare, pesa appena 30 chili, un polmone perforato dalla tubercolosi. Morirà il giorno dopo il ricovero in ospedale.
Tesfalidet non aveva nulla con sé, ma anche lui custodiva un tesoro: due fogli ripiegati in un portafoglio liso, le sue poesie.

Oggi Tesfalidet riposa in un angolo di terra del cimitero di Modica. Daniel invece chissà dove. Ma è come se non se ne fossero mai andati. Le loro parole sono pietre, più forti di tutto. Anche della morte.


Matteo Spicuglia
NP aprile 2024

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