Rivediamo Kabul

Pubblicato il 31-08-2009

di Michelangelo Dotta


Vittima ormai da mesi di un oblio mediatico che l’aveva riportata ai margini estremi dell’interesse internazionale, Kabul si è riaffacciata prepotentemente agli schermi TV…

di Michelangelo Dotta

…attraverso lo sguardo e la mimica inquietante di Clementina Cantoni, volontaria italiana vittima dell’ennesimo sequestro operato ai danni di nostri connazionali impegnati in zone ad alto rischio umanitario. Dopo invasioni, battaglie, cacciate di talebani, un nuovo assetto di governo “democraticamente rappresentativo” con a capo un presidente, l’ex patria adottiva del terrorista nemico numero uno degli Stati Uniti stava nuovamente scivolando verso il più totale black-out; cancellata senza pietà da una successiva “guerra preventiva” e da un’altra capitale che generosamente si offriva al martirio in diretta: Baghdad.

Sulla scena mondiale l’Iraq di Saddam aveva spazzato via ogni concorrente in armi, ogni altra battaglia, ogni altra area di conflitto, regalandosi alle telecamere di tutto il mondo e saziando i più trucidi appetiti dell’informazione; dalla guerra di conquista alla resa, dai bombardamenti ai corpo a corpo, dagli attentati suicidi ai rapimenti di persona fino alle “prime democratiche elezioni” che di fatto hanno consolidato lo stato di caos del Paese.

Neanche il ritorno dell’uso del burqua, l’egemonia incontrastata delle tribù e dei signori della guerra uniti al proliferare delle piantagioni di oppio come primaria fonte di sostentamento dell’intera Nazione, erano riusciti a fare ritornare l’Afghanistan al centro dell’attenzione mediatica fino al giorno del “rapimento ad effetto”.

Non è sicuramente il primo e nemmeno purtroppo sarà l’ultimo ma è un sequestro, questo, che racchiude in se tutti gli ingredienti del successo televisivo: ostaggio italiano, quindi occidentale e appartenente alla stirpe degli invasori, volontario inerme, quindi vittima innocente di un clima di oppressione e violenza che proprio l’occidente tende a contrabbandare come rappacificazione, giovane e donna, quindi testimonial per eccellenza di quel sistema sociale che sancisce su tutto e su tutti il primato maschile e che tanto l’occidente intero rifiuta.

Così, nel teatrino tragico e grottesco della messa in scena creata “ad hoc” per le televisioni del globo, ecco sbucare tra due mitra e pesanti coperte la faccina pulita e impaurita della sino ad allora sconosciuta Clementina, capace all’istante di mandare in corto circuito le false sicurezze di un occidente buonista che già aveva scordato che là, a Kabul, il processo di democratizzazione continua tutt’oggi a reggersi in piedi grazie la presenza operativa di migliaia di militari stranieri.

Ma la vera nota triste, al di là della vicenda umana di Clementina come di tanti altri ostaggi, è che sempre più spesso appare chiaro che non sono le ideologie o le convinzioni politico-religiose a guidare i rapitori, ma semplicemente i soldi, tanti soldi; quei milioni di dollari che l’occidente testardo e sordo continua a trasformare in armi invece che in segni concreti di giustizia e pace.



di Michelangelo Dotta
da Nuovo Progetto giugno/luglio 2005

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