Steve e Joshua

Pubblicato il 15-03-2022

di Aurora Antonucci

Ogni volta che padre Renato Kizito Sesana incontra la fraternità del Sermig e gli amici volontari è sempre un momento di grande crescita. Le nostre strade si sono incrociate in parecchie occasioni a partire dal 1999. Da allora l'amicizia è crescita insieme agli aiuti concreti che in questi anni sono partiti verso le sue comunità in Kenia: 26 spedizioni per oltre 13 tonnellate di materiale soprattutto di natura tecnologica.

Qualche settimana fa, padre Kizito, missionario comboniano, già direttore di Nigrizia, fondatore della comunità Koinonia, in Africa dal 1977 prima in Zambia e poi in Kenia, ha incontrato i volontari della Re.Te. presso il Villaggio Globale di Cumiana. Padre Kizito ha cominciato illustrando la situazione del Covid in Kenia, aiutandoci così a vedere come si vive la pandemia dall'altra parte del mondo. Dal punto di vista medico l'impatto del Covid è stato minimo: oggi in Kenia si muore di più per la malaria e per l'AIDS. L'impatto economico invece è stato assolutamente devastante e ha creato un ulteriore divario fra ricchi e poveri.
«Le scuole superiori hanno dovuto chiudere dalla sera alla mattina, l'ordine ha avuto effetto immediato e poi in seguito è stato dichiarato il coprifuoco dalle otto di sera alle cinque del mattino, a cui è seguita la proibizione di spostarsi di regione in regione. La decisione di chiudere ci ha messo in un'enorme difficoltà; tuttavia, siamo riusciti a convincere la struttura governativa a lasciarci tenere aperte due case. In una abbiamo una trentina di bambine, una delle situazioni più terribili. Come può finire una bambina di dieci anni in strada è facile da immaginare. Nell'altra casa abbiamo una quarantina di maschi. Entrambe le case sono isolate, in contesti molto protetti, per cui le istituzioni hanno capito che era molto meglio tenere i bambini lì che rimandarli a casa. L'economia è crollata, non c'era più un turista in giro – il turismo conta per il 20/25% –: una situazione drammatica, tantissima gente ha perso il lavoro».

Come spesso accade, anche nei momenti di massima difficoltà non viene meno la possibilità di fare il bene, aprendo il cuore e le porte che, in teoria, dovrebbero rimanere chiuse.
«Anche nel centro dove io abito dalla sera alla mattina è finito tutto. Un posto ricco di vita, di giovani, di attività: improvvisamente chiuso, deserto. Una situazione di mancanza di vita che, all'improvviso, si è però rovesciata. La televisione nazionale aveva fatto un servizio su 40 giovani che vivevano in un parco centrale a Nairobi ed erano accusati, probabilmente a ragione, di sopravvivere con piccole attività di criminalità. Un bravissimo giornalista ha illustrato la situazione di questi ragazzi che da tre giorni non mangiavano e, in diretta televisiva, si sono messi a piangere. Il Presidente sembra abbia visto questo servizio ed ha mobilitato le strutture governative. In breve, una mattina mi hanno chiamato, ho consultato i miei collaboratori e ho accettato di accogliere questi 40 ragazzi. Non avevamo mai lavorato con ragazzi di strada adulti, ma soltanto con ragazzi fino ai 16 anni, quindi eravamo un po' spaventati. Non è stato facile organizzarsi dalla sera alla mattina. Sono arrivati esausti, vestiti di stracci. Piano piano da questi stracci sono emersi ragazzi affamati, sporchi, sfiniti. Dopo 15 giorni, visto che l'esperimento era andato bene, il governo ci ha portato più di 100 bambini e ragazzi sotto i 18 anni. Ci siamo dati da fare: trovare letti a castello, trovare le cucine, i pentoloni, il necessario per far da mangiare per questa quantità di gente. È stata un’esperienza che all'inizio ci ha spaventato, ma poi si è rivelata straordinaria, perché nel momento in cui eravamo stati obbligati per legge a svuotare le nostre case di accoglienza, lo stesso governo ci ha portato dei ragazzi con i quali ricominciare daccapo. Gli adulti hanno storie completamente diverse, storie difficilissime alle spalle. Situazioni in cui si veda veramente il dito di Dio».

Proprio il dito di Dio, o anche la Sua intera mano, Padre Kizito ha visto nella storia di due ragazzi, Steve e Joshua. «Steve, vivacissimo, un diciottenne pieno di vita, sempre allegro, subito dopo essere stato portato da noi ha cominciato a dire: “io voglio tornare a casa perché questo non è il mio ambiente, io non sono un ragazzo di strada. Io sono in strada da tre mesi e ora voglio tornare a casa perché i miei mi riprendono, non ho problemi a tornare a casa”. Allora incarichiamo un nostro operatore che lo porta a casa a Migori che è un angolino del Kenya fra Uganda e Tanzania a 500 km da Nairobi. Steve ci aveva raccontato che era finito in strada perché faceva l'operatore di moto-taxi, boda boda li chiamano da noi. Lavorava in questa cittadina di 50mila abitanti, poi quando il suo datore di lavoro si è assentato per tre o quattro giorni, lui ha preso l'incasso di quei giorni, 8000 scellini, circa 60 €, e ha mollato il lavoro, la moto e se ne è andato a cercare fortuna nella grande città. Arrivato a Nairobi, è poi era finito sulla strada. Il nostro operatore, che l'ha riportato a casa, ha verificato tutto: tutto era davvero come ci aveva raccontato. Steve è un ragazzo molto semplice, speciale, perciò gli abbiamo dato noi gli 8.000 scellini sottratti, così li ha potuti restituire al datore di lavoro che lo ha perdonato e gli ha ridato il posto.
La storia però non finisce qui, ha avuto un seguito del tutto inaspettato.

«Steve, ripreso a fare il moto tassista, ha cominciato a raccontare a tutti le sue mirabolanti avventure di Nairobi, dei suoi nuovi amici, di quelli che erano in strada con lui. Ha costruito una specie di grande poema. Ben presto tutta la città è venuta a conoscenza della sua storia. Ora, Migori è quasi al confine con la Tanzania.
Al di là del confine troviamo una piccola cittadina chiamata Tarime, tra Migori e Tarime il bosco. La sua storia è arrivata al confine dove i tassisti si scambiano i clienti, poi giunge al mercato di Tarime dove c'è una signora che vende il pesce secco. Questa signora sente raccontare la storia e dice: “Ma uno di quei ragazzi è mio figlio! Io non vedo mio figlio da 5 anni, uno di quei ragazzi di cui racconta il ragazzo di Liguori è senz'altro mio figlio”. Il figlio di questa signora era andato a Nairobi 5 anni prima, ingannato da uno zio che gli aveva promesso soldi e denaro. La gente che va in città, quando torna al villaggio tende a esagerare raccontando di grandi successi e quindi quel ragazzo, Joshua, era andato a Nairobi, dove scopre che lo zio vendeva in strada il succo della canna da zucchero che estraeva con una macchinetta. Lo zio, dopo aver promesso a Joshua che lo avrebbe mandato a scuola e gli avrebbe dato chissà quale lavoro, lo aveva messo a lavorare 14 ore al giorno a macinare la canna da zucchero senza pagarlo e maltrattandolo pure. Dopo un paio d'anni, Joshua fuggì da quella vita andando in strada, senza soldi e sapere come tornare a casa. La mamma immagina che suo figlio possa essere uno dei ragazzi amici di Steve. Chiude la bancarella, va a casa e vende tutti i pesci che teneva per riserva, lascia due figli minori (il papà era morto cinque anni prima in un incidente stradale) in custodia ad una vicina, salta su una motocicletta e va a Migori. Non sa parlare l'inglese, è la prima volta che entra in Kenya, ma deve andare alla ricerca di suo figlio. Arriva a Migori e riesce, chiedendo a tutti, a trovare Steve e a convincerlo ad andare insieme a Nairobi. Vengono da me e trovano Joshua, che era nel gruppo che era stato portato da noi insieme a Steve. Sono rimasti una settimana con noi, poi li abbiamo riportati a casa».

Lo sguardo di Kizito si illumina quando ci ricorda che: «Davvero la mano di Dio è grande» perché anche in una pandemia come questa «abbiamo avuto storie bellissime, storie di ricongiungimenti, di alcuni ragazzi che tornano in famiglia e ritrovano una vita normale, di altri che hanno cominciato a studiare ricostruendo così la loro vita».


Aurora Antonucci
NP dicembre 2021

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