CINEMA: missione a 35 mm

Pubblicato il 17-11-2011

di Alessandro Moroni

 

“Se è la forza che determina il diritto allora non c'è posto per l'amore in questo mondo”: padre Gabriel in "Mission", uno dei film più celebri a sfondo terzomondiale.

di Alessandro Moroni

 

Le storie, più o meno romanzate, incentrate su missionari hanno trovato terreno fertile in 35 mm, dato l'interesse destato dalle vicende narrate. Peccato che il cinema parli per immagini, e questo tenda a penalizzare i film sbilanciati sull'aspetto narrativo; per questo motivo non sempre il risultato è stato esaltante.


"Le Chiavi del Paradiso"
(1944) di J.M. Stahl, tratto dal romanzo di A.J. Cronin di titolo analogo, è il film che ha imposto Gregory Peck all'attenzione del grande pubblico.

Da ascriversi alla categoria "bietoloni hollywoodiani" (insieme a Cary Grant, James Stewart, William Holden, Robert Mitchum e diversi altri) per il fisico imponente e fascinoso, la mascella volitiva e la solida professionalità certamente superiore al talento, nei panni di un missionario scozzese in Cina ruba tutto lo schermo per se medesimo.

La vicenda, in bilico tra afflato spirituale e le tensioni nazionalistiche nell'Estremo Oriente degli anni '30, sarebbe di estremo interesse: ma inesorabilmente scivola sullo sfondo di un film non privo di meriti, ma certamente un po' farraginoso e non esente da lungaggini.


"La Città della Gioia"
di R. Joffè ci fa fare un salto di quasi 50 anni (1992).

Il film, tratto dal bestseller di D. Lapierre, era molto atteso ma, in ultima analisi, lasciò a desiderare.
Se il soggetto letterario è ricchissimo di spunti e solidamente costruito intorno ai classici temi dell'incontro tra l'esponente di un occidente in crisi e una realtà di povertà estrema, spirituale prima ancora che materiale, la sua trasposizione cinematografica mostra la corda nel tentativo affannoso di concentrare in 134 minuti una fiumana immensa di ritratti personali, eventi, sottotrame ed emozioni.

Anche per il (de)merito di Patrick Swayze, per vari aspetti erede dei Peck e degli Stewart (ma sprovvisto della loro professionalità) e qui decisamente a disagio nei panni di un medico americano calato nella realtà del Bronx di Calcutta.



"Mission"
(1986) è dello stesso regista, ma è di tutt'altra levatura. Solidamente costruito sulle performances di un Robert De Niro all'apice della forma e di un Jeremy Irons in stato di grazia porta sullo schermo la vicenda delle "zone franche" istituite dalle Missioni Gesuite nel Sudamerica del Diciottesimo Secolo, mirate a sottrarre gli Indios al brutale sfruttamento da parte delle Potenze Coloniali europee.
Il tutto inquadrato sullo sfondo di una vicenda personale di peccato ed espiazione presentata con gusto e una certa originalità; momenti di alta scuola anche nel tragico finale, che vede la Missione soccombere alla dura repressione Spagnola e Portoghese.
Il film vinse la Palma d'Oro a Cannes e conseguì varie nomination agli Oscar; ma, nonostante i meritati riconoscimenti, anche in questo caso permane il sentore di una certa dispersività nella narrazione, se è vero che gli elementi rimasti più scolpiti nell'immaginario collettivo sono la splendida fotografia della foresta pluviale Boliviana e, ancor più, quel capolavoro di colonna sonora firmato da Ennio Morricone (che agli Oscar fu poi battuta da quella di H. Hancock per "Round Midnight", oggi ovviamente caduta nel dimenticatoio: Hollywood non si smentisce quasi mai...).

 

di Alessando Moroni
Nuovo Progetto ottobre 2008

 
 

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