La Bussola d'Oro

Pubblicato il 31-08-2009

di Alessandro Moroni


Molte polemiche intorno al film uscito nelle sale italiane un mese fa, interpretato da Nicole Kidman e Michael Craig, per la regia di Chris Weisz. Ma la pietra dello scandalo è costituita più dal soggetto letterario che non dal suo adattamento cinematografico.

di Alessandro Moroni


Il film in sè e per sè colpisce poco: un mondo simile al nostro ma non troppo; una ragazzina (non troppo simpatica a dire il vero) che si districa tra orsi parlanti corazzati, amici improbabili di varia natura, nemici cattivissimi associati ad un non meglio identificato "magisterium", streghe buone che non volano a cavalcioni della classica scopa ma aggrappate ad un più comodo e conveniente rametto di pino. Il tutto con la diffusa presenza di uno stuolo di animaletti molto accattivanti, estrinsecazione dell'anima umana. Insomma, lo spettatore ignaro esce dalla sala convinto di avere assistito alla proiezione del classico "panettone fantasy", frequentato sotto le Feste dalla famigliola felice degli spot pubblicitari: zuccheroso la sua parte, non molto significativo.
Sennonché poi capita che lo spettatore ignaro di cui sopra venga casualmente a scoprire che l'uscita del film nelle sale di tutto il mondo è stato preceduto da polemiche a non finire; e ovviamente se ne chiede il perché. La risposta è contenuta non tanto nell'adattamento cinematografico politically correct di Chris Weisz quanto nel suo soggetto ispiratore, vale a dire la trilogia "Queste Oscure Materie", pubblicata dall'inglese Philip Pullman a metà degli anni '90. Il titolo è una citazione diretta del "Paradiso Perduto" di Milton, al quale l'autore ha più volte affermato di essersi ispirato; "La Bussola d'Oro" è appunto il titolo del primo di questi tre romanzi. La trilogia è violentemente polemica nei confronti della Chiesa cattolica e del suo magistero; e, soprattutto negli ultimi due volumi, si spinge ben più in là, ipotizzando una cosmogonia atea e conforme ai cliché illuministico-positivisti in voga un paio di secoli fa. locandinabussola.jpg

Comincerò col dire che si tratta di un lavoro nettamente sopravvalutato, al di là del successo commerciale (sia pure conseguito in un ristretto ambito "di genere"), proprio sotto un profilo squisitamente letterario. La prosa di Pullman non è molto efficace: con rare eccezioni, la storia procede a rilento, i personaggi non è che saltino precisamente fuori dalle pagine e anche le idee alla base sono originali per modo di dire. Giusto per fare un esempio, i mondi paralleli con portali comunicanti e percorribili solo dagli spiriti più illuminati ci sono già stati presentati decenni orsono da Stephen King, il quale a sua volta aveva mutuato l'idea da "L'anello intorno al sole" di Clifford Simak, e chissà da quanti altri prima di lui.

Il successo che la trilogia di Pullmann ha raccolto nel decennio abbondante di presenza sul mercato è ascrivibile unicamente alla tematica ateistica di base; perché, come potrebbe testimoniare Dan Brown autore del "Codice Da Vinci", viviamo in un'epoca nella quale il fatto in sè di prendere di mira la Chiesa e il nucleo portante del cristianesimo (magari facendo leva sulla diffusa ignoranza religiosa in un mondo ormai largamente neopaganizzato) economicamente rende, eccome. Se pensiamo che il tutto viene presentato nell'ambito di un'accattivante cornice fantasy, per definizione rivolta ad un pubblico di ragazzini ed adolescenti, comprendiamo che non si può dare torto a chi, in ambito cristiano e più specificamente cattolico, afferma che il contenuto di quest'opera è veleno allo stato puro.

L'autore Philip Pullmann, dal canto suo, non ha mai fatto nulla per smorzare le polemiche, meno che mai ora che l'uscita del film nelle sale ne ha rimesso a lucido la visibilità: ovunque venga invitato non perde occasione per sottolineare le proprie convinzioni laiciste, con attacchi violenti alle religioni istituzionalizzate (tutte, ma ovviamente la "parte del leone" la fa quella cattolica) e senza risparmiare opere letterarie di valenza cristiana. Per esempio, uno dei suoi bersagli preferiti è costituito da "Le Cronache di Narnia", saga fantasy per ragazzi del celebre C.S. Lewis, convertito al cristianesimo dall'incontro con J.R.R.Tolkien, autore del "Signore degli Anelli". Secondo Pullmann, il capolavoro di Lewis sarebbe una delle opere più pericolose per l'infanzia, improntata a "misoginia, rigido classismo e deresponsabilizzazione".

Per quanto personalmente non mi senta di appartenere alla schiera dei fans di Narnia (trovandola, nel tono narrativo, una saga un po' troppo "per ragazzi", oltre ad essere messo a disagio dagli accenti ostentatamente allegorici e fin troppo scopertamente apologetici), ho trovato davvero raggelante il fatto che a criticare l'opera di Lewis in quanto diseducativa sia l'autore di tre romanzi, sempre "per ragazzi", dal contenuto esplicitamente ateo ed antireligioso; è, più che mai, un segno dei tempi, così inclini a rovesciare il naturale significato di bene e di male e a confondere le coscienze. E in effetti Philip Pullmann è figlio della nostra epoca, che censura pregiudizialmente un pontefice sbarrandogli le porte di un ateneo, dimenticando che l'ateneo in questione è stato fondato da un altro pontefice, secoli orsono.

bussolascimmia.jpg Pullmann va sbandierando nelle interviste che rilascia i contenuti ideologici delle sue fatiche letterarie, sostenendo che chi dichiara un'appartenenza religiosa usa trarne giustificazione per sostenere "cose terribili e indegne della vita civile"; dimenticando, per esempio, che i massimi orrori che hanno accompagnato la storia dell'umanità sono figli delle varie ideologie ascrivibili più o meno direttamente all'Illuminismo e che hanno spadroneggiato nel corso degli ultimi due secoli: rimosso quello che i laicisti chiamano "l'oscurantismo religioso" è subentrata la barbarie senza fine del dominio violento dell'uomo sull'uomo, che ha portato alla luce mostri semplicemente inconcepibili nel corso dei 18 secoli precedenti.

Pullmann attacca "Le Cronache di Narnia" perché la saga si chiude con i giovani protagonisti che vanno incontro ad una sorta di "morte gioiosa", sostenendo quindi che secondo Lewis la morte sia "meglio della vita", da cui deriverebbe la totale estraneità dei credenti al mondo in cui nascono, crescono, si nutrono e respirano; e travisa clamorosamente quella che per un cristiano non è "la fine" bensì "il fine" dell'esistenza, che illumina retrospettivamente di significato "le cose di quaggiù" ed esorcizza l'ancestrale paura della morte (che Tolkien chiamava "il Dono dell'Uno agli uomini"), lo spauracchio che l'imperante neopaganesimo più o meno intellettualizzato non è mai riuscito neppure a scalfire, figuriamoci poi a debellare. Pullmann si straccia le vesti perché Lewis ha l'ardire di "mandare all'inferno" (metaforicamente) una delle ragazze protagoniste della saga per quello che, a suo dire, è il solo peccato di "voler crescere e non essere più bambina, scoprendo il rossetto e le calze di nylon"; e gli sfugge completamente che la citata "dannazione" è nient'altro che il frutto di una libera scelta, proprio l'assunzione deliberata di quella tremenda responsabilità individuale che Pullmann stesso indica come molto carente presso i cristiani, tutti a suo dire così inclini all'autoindulgenza colpevole, coadiuvata da un Dio che "sempre perdona".

È senz'altro giusto e doveroso prendere posizione di fronte a un simile rimescolamento di luoghi comuni; così come non ha senso rifiutare il confronto dialettico con esponenti del pensiero laico oltranzista che ostentatamente si presentano come alfieri del "nuovo e liberatorio", quando non fanno altro che scimmiottare gli epigoni di Voltaire di fine '700. Ciò detto, è importante anche riflettere sugli effetti globali di certe manifestazioni polemiche estreme. Gli attacchi frontali al film di Chris Weisz quando ancora non era giunto nelle sale hanno determinato un fin troppo prevedibile effetto boomerang: in effetti, gli esperti di settore valutano che dei 350 milioni di dollari che il film in base alle proiezioni più accreditate potrà incassare nel periodo di presenza nelle sale di tutto il mondo (comunque pochi, dato l'alto budget di spesa per film di questo genere), circa 100 saranno da ascriversi agli effetti collaterali del polverone mediatico sollevato. E anche la vendita dei libri di Pullmann ne risulterà alimentata in proporzione; è valsa la pena di regalare tanta pubblicità gratuita a un prodotto letterariamente mediocre, oltre che eticamente riprovevole?

di Alessandro Moroni

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