IL DIAVOLO, PROBABILMENTE…

Pubblicato il 14-09-2011

di Alessandro Moroni


Constantine di Francis Lawrence è una delle ultime nate tra le pellicole ascrivibili al filone gotico-satanico. Ragioni e alibi di un genere nato da un cult movie di 32 anni fa.

di Alessandro Moroni

 

Georgetown, uno dei quartieri più esclusivi di Washington. Una scalinata che costeggia il muro perimetrale di una villa: l’inquadratura è dalla sommità, e indugia sulle foglie secche che ne riempiono i gradini. L’immagine autunnale ha in sé qualcosa di indefinibilmente angoscioso.
La prospettiva poi cambia, e viene inquadrata dal basso una figura scura, un prete, fermo in cima alla scalinata. Mentre l’uomo si allontana iniziano a scorrere i titoli di coda, accompagnati dal tema musicale destinato a popolare gli incubi di una generazione sicuramente non abituata ad essere così platealmente esposta a paure ancestrali e ad angosce metafisiche.

È l’Esorcista (William Friedkin, 1973), uno di quegli eventi mediatici che segnano un’epoca e che irrompono sulla scena del tutto inattesi. Se c’è stata una decade nella quale il laicismo di stampo occidentale ha fatto piazza pulita dalle arti in genere di tutto quanto chiamasse in causa esplicitamente l’Aldilà, è stata proprio quella degli anni ’70: epoca segnata dalla radicalizzazione dello scontro conseguente al ’68, dalla guerra in Vietnam, dagli “anni di piombo” in Europa, il tutto condito dalla presenza asfissiante del materialismo dialettico tanto caro ai seguaci di Karl Marx, culturalmente onnipresente.

Ed ecco che in mezzo a tutto questo esplode un fenomeno di goticità allo stato puro, che non si limita ad evocare lo scontro biblico tra Bene e Male, ma fa ben di più: chiama in causa il Diavolo in persona, con tutto il suo vieto armamentario di fenomeni psicocinetici, spudorate esibizioni di simboli ancestrali e antichi rituali di esorcismo, con Acqua Santa che scorre a fiumi.

Ovviamente, la critica dell’epoca si stracciò le vesti, oscillando tra manifeste derisioni e feroci stroncature, tutte o quasi di natura aprioristica e ideologica: più che contestare la qualità intrinseca del film se ne maltrattava il soggetto. Nessuno si stupisce del fatto che nel 1973 critici “sinistrissimi” come Tullio Kezich abbiano fatto letteralmente a pezzi un film avente per protagonista un eroico sacerdote alle prese con una ragazzina posseduta dal Demonio (salvo poi ricredersi una trentina d’anni dopo, visto che, al cospetto di molti thriller metafisici realizzati successivamente, l’Esorcista è indiscutibilmente una pietra miliare nella storia del cinema, e Friedkin diventa un regista da monumento in piazza). Risulta semmai più difficile da spiegare il successo di un film così lontano dal contesto culturale dell’epoca eppure capace di dar vita a un intero filone di successo: senza l’Esorcista non sarebbe esistito il genere “gotico occultista a sfondo clericale”, che a più di 30 anni di distanza è ben lungi dall’esaurimento; come è stato possibile?

Effetto perdurante di una moda che attinge al fascino perverso di un satanismo d’accatto devastante per menti deboli e particolarmente esposte? O forse il bisogno di sacralità, da sempre presente nell’uomo, in un’epoca clamorosamente sconsacrata si fa largo attraverso i canali “non ufficiali” dell’inconscio? O semplicemente non se ne può più delle rappresentazioni del male “moderne” alle quali il catechismo post-conciliare ci ha abituato e sentiamo tutti una nostalgia inconfessata del buon vecchio Satana, col suo alito sulfureo e le sue manifestazioni scurrili e maleodoranti?!?
Tutte possibili – e ovviamente parziali – verità. Per mio conto, aggiungerei che per quanto l’adesione razionale al cinema impegnato mainstream e alla sua focalizzazione sulle “storie reali di persone normali” ci possa far sentire adulti, disincantati, “maggiorenni” ed intellettualmente ben accetti a noi stessi e ai nostri simili, il nostro universo interiore ci ricorda che tutto questo non ci basta: abbiamo bisogno di qualcosa di più. Per esempio, di attingere al grande patrimonio mitologico e archetipale del nostro vissuto plurimillenario: in questo senso tutto può andare bene, anche la riproposizione del confronto con il Male nella sua radicalizzazione più estrema ed atavica, con il Maligno in persona che si fa avanti per il possesso di un individuo, fronteggiato da un esponente del cosiddetto Bene Ufficiale, disposto ad opporglisi a qualsiasi prezzo. E non deve sorprendere il fatto che il prescelto per il ruolo positivo sia di norma un Sacerdote: figura non certo all’apice della popolarità (non da oggi, direi…) per quanto attiene alle sue prerogative sacramentali e dottrinali, ma che conserva un certo fascino in quanto l’immaginario collettivo lo considera depositario di qualche oscuro, atavico, sciamanico potere, che proprio l’ufficialità del suo ruolo (di Oppositore Istituzionale del Maligno) gli conferisce.

Se è comunque vero che a 32 anni di distanza l’Esorcista si lascia vedere ancora volentieri, dimostrando poche rughe e mantenendo intatto il suo (sinistro) fascino psicologico forse più che demoniaco, non si può dire lo stesso per il filone al quale il film ha dato vita. Che è, per l’appunto, uno dei tanti generi che infestano le Arti: qualcosa si salva, il resto è mediocrità assoluta, se non spazzatura tout-court. Tra parentesi, va detto che negli anni ’80 e ’90 le prospettive cambiano: non è un caso se proprio i due pezzi migliori del campionario, vale a dire Angel Heart del 1987 e L’Avvocato del Diavolo del 1997, non propongono più la possessione demoniaca classicamente intesa, ma l’iniziazione al male di individui inizialmente ignari, e in seguito ambiguamente partecipi alla corruzione della propria anima.

Anche la struttura delle due sceneggiature è analoga, portando in primo piano un’ottima interpretazione all’insegna del “bello e dannato” (rispettivamente un Mickey Rourke intriso di decadentismo fatalista e un Keanu Reeves ambiguo nel suo look da eterno bravo ragazzo), alla quale fa da spalla la tipica interpretazione istrionica sopra le righe (De Niro nel primo caso, Pacino nel secondo).

Si tratta comunque delle due classiche isole emergenti dalla palude di un genere che ha consentito per troppo tempo a registi e a sceneggiatori mediocrissimi di tirare a campare: e se 6 anni fa abbiamo toccato il fondo con Stigmatae, tanto presuntuoso quanto involontariamente comico, con Constantine, attualmente nelle sale, abbiamo decisamente incominciato a scavare.

SE LO CONOSCI LO EVITI
Recenti fatti di cronaca nera hanno evidenziato come il torbido fascino di Satana non si limita alle immagini trasmesse sul piccolo o – ed è il caso di questo articolo – sul grande schermo. Per questo abbiamo pensato di parlarne in questo numero. In fondo, adottando le dovute precauzioni riguardanti l’età e la preparazione culturale di ognuno, per il Maligno vale lo slogan dell’AIDS: “Se lo conosci, lo eviti”. Per salvarsi la vita, e non solo.
Red.
di Alessandro Moroni
da Nuovo Progetto aprile 2005

 

 

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok