Uno vale uno?
Pubblicato il 15-03-2021
Il bagno di realtà del Covid e quello che manca...
Uno vale uno, ma c’è chi pensa di valere molto di più. L’esperienza del Covid ce lo ha fatto capire tra e anche sopra le righe. Ricordate i discorsi della primavera? Il refrain di esperti e non: «Tanto muoiono i vecchi», «Rischia chi ha patologie pregresse», «Il problema è delle Rsa». La realtà ha dimostrato il contrario, ma questo modo di dire e di pensare nei sani ha alimentato quasi un senso di sollievo, una sorta di fatalismo magico che ha fatto abbassare ogni cautela. Il “liberi tutti” di quest’estate, complice una comunicazione istituzionale confusa e pasticciata, ha fatto il resto: il mix che in autunno ha riportato il nostro Paese nel pieno di una seconda ondata. Ospedali saturi, tanti morti, nuovi lockdown. E quell’idea di fondo di continuare a sentirci diversi dagli altri. Perché ormai è chiaro: la regola dell’“uno vale uno” con il Covid non vale.
Abbiamo capito che nella concretezza di questo tempo uno studente vale meno di chi lavora, un anziano ricoverato in una Rsa meno di chi ha la fortuna di starsene a casa propria, la famiglia di un giovane autistico meno di una famiglia ordinaria, un lavoratore senza tutele meno di chi è garantito. Gli esempi potrebbero continuare all’infinito. Con alcuni paradossi. Come il punto di vista di Angelo Ciocca, europarlamentare della Lega, interpellato sui vaccini. «Bisogna valutare l'importanza economica del territorio: la Lombardia, è un dato di fatto, è il motore di tutto il Paese.
Quindi se si ammala un lombardo vale di più che se si ammala una persona di un'altra parte d'Italia. Se in un'azienda devo investire in un sistema antincendio lo potenzio dove c'è il server, dove c'è il capitale umano che produce. Non è solo una questione di Lombardia o Lazio, vale per un ministeriale o un burocrate europeo, io dico prima i dipendenti privati. Per me invece vale di più un lavoratore, un magazziniere, un commesso, un imprenditore lombardo rispetto a un ministeriale romano. Non perché ce l'ho con lui ma solo che per uscire da questa pandemia dobbiamo investire in debito pubblico e allora dobbiamo mettere in condizione chi produce nel mondo privato di farci affrontare il debito pubblico».
Uno vale uno? Macché! Se poi allarghiamo lo sguardo al resto del mondo, lo scenario è ancora più triste. Secondo la rete di ong People’s Vaccine Alliance, in circa 70 Paesi poveri, il 90% della popolazione rischia di non avere accesso al vaccino. Questo perché più della metà delle dosi è già stato acquistato dai Paesi più ricchi, dove però vive meno di un sesto della popolazione mondiale. «Gli Stati ad alto reddito sono arrivati prima e hanno svuotato gli scaffali», ha detto al New York Times Andrea Taylor, un ricercatore della Duke University.
Gli Stati Uniti per esempio hanno sottoscritto accordi per scorte fino a un miliardo e mezzo di dosi. Così il Canada che nei prossimi mesi potrebbe essere in grado di vaccinare la popolazione addirittura sei volte, seguita da Gran Bretagna con quattro e dall’Unione Europea con due. Tutti gli altri staranno a guardare. Alcuni Paesi a basso reddito potrebbero aspettare fino al 2024 per avere un numero di vaccini sufficiente. Niente di nuovo sotto il sole, se si pensa che l’Africa è riuscita a sconfiggere completamente la poliomelite solo nell’agosto scorso, ben 18 anni dopo l’Europa.
Uno vale uno? Purtroppo, no.
E forse a tanti va bene così. Il futuro però ancora ci appartiene se solo lo capissimo, se decidessimo di allargare lo sguardo, di rilanciare una visione comune in cui gli “uno” si riconoscono uguali nella dignità, nei bisogni, nella propria umanità. Per continuare a sentirsi “uno”, ma diventando finalmente “noi”.
Matteo Spicuglia
NP Gennaio 2021