10° giornata mondiale sulla SLA
Pubblicato il 31-08-2009
Il 21 giugno scorso si è celebrata la decima edizione dell'annuale Giornata Mondiale di sensibilizzazione sulla Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) - grave e invalidante malattia neurodegenerativa - celebrata per la prima volta lo stesso giorno del 1997. La speranza è che si arrivi ad un punto di svolta per quel che riguarda la “ricerca delle cause, dei trattamenti e delle cure” efficaci per sconfiggere finalmente la malattia.
Pubblichiamo la testimonianza di un medico che vive anche la parte del malato.
LETTERA AI MEDICI di Mario Melazzini A volte il fatto di passare dall’altra parte della barricata (se la si vuole chiamare così) può comportare una grande fortuna. Da ormai quattro anni sono affetto da sclerosi laterale amiotrofica (SLA), ma penso, anzi ne sono certo, di aver imparato e di stare ancora imparando più in questo ultimo periodo vissuto da paziente che nei precedenti 25 anni in cui ho esercitato la professione di medico. |
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In questi ultimi tempi in cui, a volte, si parla molto di diritto a morire più che di diritto a vivere mi sono permesso di fare alcune riflessioni. |
Un’informazione che deve poi essere condivisa con i famigliari, in quanto spesso ci dimentichiamo che la malattia non è appannaggio solamente dell’individuo che ne è afflitto ma anche di tutta la sua famiglia. Se impostassimo correttamente il discorso in questi termini, ci troveremmo già spianato il percorso della consapevolezza, ma soprattutto quello delle decisioni anticipate nei confronti delle problematiche correlate al percorso di condivisione terapeutica.
Ad esempio, prendiamo un caso inerente alla specialità che esercito, l’onco-ematologia. In uno studio recente è stato indicato che il tempo medio che un oncologo impiega per comunicare la prima diagnosi al malato è pari a 13 minuti. Io mi chiedo: come è possibile comunicare in 13 minuti ad una persona: “Lei ha un linfoma…”, pianificare il percorso terapeutico, dare informazioni sulle problematiche, decidere le soluzioni, individuare gli ausili e gli strumenti da utilizzare? |
Nel mio caso specifico, se io non utilizzassi gli strumenti tecnologici come ad esempio la PEG e la relativa pompa per alimentarmi, la NIV durante la notte (e per qualche ora durante il giorno) farei fatica a parlare, respirare e riposare. |
In questo periodo in cui si parla molto di testamento biologico forse varrebbe la pena, prima di legiferare in proposito, focalizzare l’attenzione su quelle che sono le reali condizioni delle persone malate e affette da gravi patologie invalidanti, e su come, nel nostro Paese, siano abnormi le carenze assistenziali, sia dal punto di vista sanitario che da quello sociale, della persona fragile (malato, bambino, anziano, ecc).
Mi sono chiesto: perché il paziente in stato di dipendenza dalla tecnologia può arrivare a chiedere di essere aiutato a morire? È un reale desiderio del malato? O tale richiesta può dipendere da un atteggiamento sbagliato del medico o dei familiari? |
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In conclusione, ho capito che anche nella malattia è possibile sviluppare degli aspetti sconosciuti della nostra personalità. La malattia per me, come uomo e come medico, è un dono in quanto penso che la sofferenza possa essere vissuta come un’esperienza e utilizzata in modo positivo. Oggi ho la fortuna di vivere serenamente ma soprattutto di sentirmi ancora molto utile, in primo luogo a me stesso ma anche ai miei famigliari e ai miei cari. In particolare, questi ultimi mi stanno insegnando che cosa significhi realmente essere un paziente. Non dimentichiamoci mai che se trattiamo la persona e non la malattia otterremo dei grandi risultati, positivi prima di tutto per il nostro malato ma anche, in seconda battuta, per noi medici.
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