30 anni fa moriva Paolo VI

Pubblicato il 31-08-2009

di Redazione Sermig

 

30 anni fa, all’Angelus della domenica di Trasfigurazione, Paolo VI entrava in quel “sabato senza vespri” di cui parlava La Pira, dopo una vita spesa al servizio della Chiesa. Uomo di elevatissima statura morale e di grandissima cultura, la sua profonda umiltà lo spinse a ricercare il dialogo con tutti, piccoli e grandi, credenti e non credenti. Vogliamo ricordare anche noi questo gigante della Chiesa, antico e moderno al tempo stesso. Proprio come l’uomo del Vangelo, che “dal tesoro del proprio cuore trae cose antiche e cose nuove”. Il 19 maggio del ’76 Ernesto Olivero con alcuni amici del Sermig incontrò Paolo VI per la prima volta. Racconterà poi così questo significativo momento:

di Ernesto Olivero 


Nel maggio 1976 sentii l'esigenza di andare dal Papa Paolo VI.
La cosa mi sorprese, perché la mia timidezza mi aveva sempre tenuto lontano dalle autorità, civili o religiose che fossero.
Quindi immaginate la mia sorpresa quando pensai: "Vado da Paolo VI. Voglio protestare contro la Chiesa troppo ricca, troppo staccata dalla gente".
Mi sentivo di dover andare dal Papa in ginocchio; non volevo andargli a dare una lezione, volevo comunicargli il mio pensiero, a nome dei giovani.
Avevo espresso la mia intenzione anche al card. Michele Pellegrino, grande amico, padre e maestro; lui mi disse che mi avrebbe aiutato, non proprio ad andare dal Papa, ma ad arrivare almeno nei paraggi e consegnargli la lettera nella quale avevo messo per iscritto i miei pensieri. Mi feci accompagnare da quattro giovani. Andammo in treno per risparmiare. Viaggiammo tutta la notte e arrivammo a San Pietro al mattino molto presto. 19 maggio '76: Paolo VI ed E.Olivero

Poco alla volta la piazza si riempì di pellegrini. Noi, su suggerimento di padre Pellegrino, cercammo un certo mons. Monduzzi, che speravamo ci avrebbe introdotti dal Papa. Lo trovai e gli dissi con molta fermezza: "Senta, io devo parlare con il Papa." Lui non mi diede del matto, ma me lo lasciò chiaramente intendere, rispondendomi ironicamente: "Oggi qui, in piazza San Pietro, ci sono almeno 10.000 persone che vorrebbero parlare con il Papa, vederlo a tu per tu: è impossibile!". "Io devo parlare con il Papa! Ho qualcosa di importante da dirgli !" Misi in questa frase tutta la mia convinzione e i miei amici stessi si stupirono di tanta forza.
Mons. Monduzzi si ritrovò spiazzato. Mi domandò: "Ma lei come è vestito?".

Mi guardai. Ero partito da Torino in jeans e camiciotto, avevo le scarpe rotte. Ero partito con una tale emozione e con un misto di incredulità e speranza, che non avevo badato all'abito… Entrammo nel salone Nervi. Il Papa, salutando i gruppi presenti, con molto stupore da parte nostra, ad un certo punto disse: "...e poi c'è un gruppo che arriva da Torino ... ("Tra me pensai: "Saremo mica noi ?") ... sono i giovani del Sermig! Dove siete ?" Io mi vergognavo di alzarmi con i miei amici: eravamo in cinque, contro le centinaia e centinaia di esponenti di altri gruppi. E il Papa continuò: "Ma dove siete ?" Al terzo richiamo ci alzammo. Il Papa capì il nostro imbarazzo e aggiunse a braccio: "Una parola di vivo elogio ed incoraggiamento meritano i rappresentanti del Servizio Missionario Giovani - il Sermig, si dice così, vero? - che operano in tutto il Piemonte. Siete pochi qui presenti ma, mediante voi, come attraverso un prisma rifrangente, vogliamo rivolgerci alle migliaia e migliaia di giovani che operano in silenzio e con buona volontà e tanto impegno su due fronti: a favore delle missioni e per l’elevazione dei fratelli meno abbienti. I giovani possono dare molto, devono dare molto, specie in questi momenti: e voi avete capito la bellezza di impegnarsi di persona per la buona causa di Cristo e dei fratelli! Il Signore vi benedica e vi assista, tenendo sempre desto il vostro zelo. E' la nostra preghiera ed il nostro augurio affettuoso".

Ma la sorpresa più grande doveva ancora arrivare. Alla fine dell'udienza, avrei dovuto consegnargli personalmente la lettera.
Dopo poche decine di metri arrivai in una sala dove erano radunati cardinali e uomini elegantissimi.
Io mi sentivo veramente uno straccione, ma pieno d'amore, pieno di forza interiore e non fui in imbarazzo: io aspettavo il mio Papa, al quale dovevo dire che cosa pensavo della Chiesa, dovevo dimostrargli il grande amore che io e tanti giovani avevamo per lui e per la Chiesa. Arrivò il Papa, lo sguardo assorto e insieme curioso, perché non mi conosceva e per prima cosa mi chiese: "Ma lei chi è, cosa vuole, da dove viene ?" Ed io: "Sono Ernesto Olivero, rappresento tanti giovani. Arrivo da Torino. " "Ah sì, Torino." "Non siamo tanto d'accordo con la Chiesa troppo staccata dalla gente..." Il Papa non mi lasciò finire, intuì il pensiero, me lo lesse dentro, me lo lesse nello sguardo, lo lesse nella pacatezza delle mie parole, anche se io ero zeppo di emozione. Mi abbracciò e mi disse che lui era d'accordo con me: "Anch'io desidero questo, ma sovente i cristiani non mi ubbidiscono. Ebbene, spero da voi, spero dai giovani, spero da Torino, dal Piemonte, terra di santi, per una rivoluzione d'amore".

Le sue braccia si tesero in un abbraccio, l'abbraccio nel suo manto bianco che mi avvolse: mi sentii protetto. In quel momento mi si piantò nel cuore la certezza che la nostra casa sarebbe sorta nella zona di Porta Palazzo, dove sono vissuti i grandi santi di Torino. Ma tenni solo per me questo pensiero.

Ernesto Olivero

 

 

 

 

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