50 ANNI DI SÌ

Pubblicato il 31-08-2009

di Redazione Sermig


Domenica scorsa don Giuseppe Vietto ha festeggiato il suo 50° di sacerdozio. Prete da 24 ore su 24, ha accompagnato sin dagli inizi il cammino del Sermig, divenendone un maestro. Ernesto Olivero lo ha ringraziato così.

di Ernesto Olivero


Caro don Giuseppe,
voglio dire qualcosa alla tua gente
. Scusa se il tono è un po’ emozionato…
Se don Giuseppe nella vita avesse fatto il lattoniere, sarebbe stato un lattoniere onesto.
Se avesse fatto il lattoniere, sarebbe diventato un lattoniere disponibile 24 ore su 24 e non si sarebbe arricchito. Avrebbe attratto sicuramente tanta gente povera che aveva bisogno di un lattoniere ed avrebbe trovato il modo di non farla pagare.
Se uno è diventato un bravo sacerdote, sarebbe diventato anche un bravo lattoniere.
Se uno può essere un bravo lattoniere e fa il sacerdote, diventa come don Giuseppe.
Tramite amici come don Giuseppe ho scoperto che cosa è l’amore, che cosa è la misura dell’amore, che l’amore non ha limiti, l’amore è disponibile, l’amore non va in ferie. Non va in ferie perché soltanto non andando in ferie l’amore può operare.
Don Giuseppe è tra le persone che il Signore ha posto sulla nostra strada per indicarci come vivere, come essere disponibili. L’amore di Dio non è mai una teoria, non è mai retorica, è sempre un “sì” che trova il suo posto originale.

6 settembre 1983: Don Giuseppe Vietto durante la prima messa celebrata dentro le mura dell'Arsenale della Pace, da solo un mese casa del Sermig

Don Giuseppe rappresenta un grande incoraggiamento. Il guardare a lui può offrire una risposta serena, severa, dura a tanta gente che ce l’ha con la Chiesa. Sovente la gente ce l’ha con la Chiesa perché vuol vedere solo il “marcio”. Ci sono dei preti balordi, violentatori, assassini, è vero, ma ci sono anche tanti preti, e sono la maggioranza, per bene. Tu cosa vuoi vedere? Ricordo che Madre Teresa di Calcutta, da cui ero andato a lamentarmi per un problema, mi disse: “Ernesto, ognuno ragiona in base al marciume che ha dentro, quindi tu vai avanti”.

A Torino, la stampa locale avrebbe dovuto fare uno speciale per questi 50 anni di sacerdozio di un uomo bello, pulito, fedele, disponibile. Finora non è apparso nulla, perché molte volte noi cristiani - o non cristiani, non c’è differenza in ciò - abbiamo bisogno dello scandalo per “fare notizia”. Una cosa bella non fa notizia. Invece fa notizia, eccome!

I 50 anni di don Giuseppe sono un “sì” che continua ad essere lo stesso sì. Io ringrazio che don Giuseppe abbia incrociato il nostro cammino. Dal momento in cui ci siamo incrociati non ci siamo più lasciati; dal momento in cui ci siamo incrociati, lui ci ha donato la sua fedeltà e noi, vedendolo fedele, siamo stati aiutati ad essere più fedeli; vedendolo presente siamo stati aiutati, perché ogni presenza dà un incoraggiamento, una critica costruttiva.

Per me, avere don Giuseppe accanto è sempre stato una sicurezza: c’è lui, quindi vuol dire che stiamo andando bene, c’è lui, quindi vuol dire che stiamo facendo bene. Quante volte ha visto delle lacrime attraversare la nostra strada e ci ha consolato con la sua solidarietà! Voglio ringraziarti, don Giuseppe, per il bene che ci vuoi, per la stima che ci dai.
Insieme a dom Luciano e ad altri “don Giuseppe”, lui è stato per noi l’indicatore di Dio. Insieme ad altre persone, ci ha aiutato a capire che il “sì” non è un giro di parole. A volte per dire un sì bisogna affrontare delle difficoltà e delle tragedie, però la sintesi di tanti sì è come lui.
Perciò, grazie don Giuseppe, di tutto cuore.


Nel suo libro “Domande difficili” (Ed. Città Nuova 1983) Ernesto Olivero tra altri personaggi aveva intervistato don Giuseppe. Le risposte di allora sono ancora attuali.

Qual è il segreto che ti permette di sorridere anche tra le difficoltà?
Il segreto della mia serenità è semplice: so di essere amato dal Signore, che mi fa gustare quotidianamente le sue meraviglie. Mi pare di sentirmi dire, come al fratello maggiore del prodigo: «Tutte le cose mie sono tue». Come si può essere tristi conoscendo per fede la Grazia di Dio?
Come mai il sorriso, in mezzo ai consacrati, è raro?
Bisognerebbe chiederlo agli interessati. Personalmente, in primo luogo, credo che un certo stile di vita sia frutto di un'educazione improntata, ad esempio, ad una eccessiva severità, oppure a mancanza di affetto o ad altre cose.
Ma vorrei approfondire di più dicendo che a volte alcune anime consacrate non hanno capito o non ancora sperimentato che a fare il bene, si sta bene e si è nella gioia.
Non è forse vero che uno dei tanti attributi di Dio è la gioia? Infatti, Dio Padre crea, il Figlio redime, lo Spirito Santo santifica. Dio è un'offerta incessante di bene: quanto amore ha per noi! Appare qui la sua gioia. Dice infatti nella Bibbia: «La mia gioia è lo stare con gli uomini».
Se l'essenza del cristianesimo è l'essere l'immagine meno imperfetta possibile della SS. Trinità, allora vuol dire che anch'io devo donare e nel dono c'è la gioia. Se un prete è triste, è perché non dona.
Darei un consiglio a chi ha l'aspetto triste: l'apostolato del sorriso fa parte della pedagogia del Vangelo e facilita l'incontro con le anime.

Ad un prete costa il celibato? Ed è giusto?
Costa lasciare un bene: ce lo prova anche il Vangelo nell’episodio del giovane ricco, che se ne andò triste perché aveva molti beni e non li voleva lasciare.
Costa lasciare un dono: ora, la donna è un dono di Dio. La Bibbia dice infatti: «Non è bene che l'uomo sia solo». Lasciare questa creatura richiede un sacrificio, tanto più a vent’anni quando l'amore verso una persona amata ti riempie il cuore. Ma questo
è un sacrificio che poco alla volta prepara l'anima a ricevere Gesù fino a dire con san Paolo: «È Cristo che vive in me». Quando Gesù è la vita dell'anima sacerdotale, non occorre altro. Direi che questo sacrificio mi ha dato la più grande ricchezza. È la «perla» preziosa del Vangelo
Mi chiedi poi se il celibato è giusto: quanto ho detto è già sufficiente per la risposta. Trala¬scio anche i vantaggi grandissimi che ne derivano per l'apostolato sacerdotale.

Perché hai scelto Gesù?
Ho avuto anch'io un incidente stradale come san Paolo sulla via di Damasco; ho «bocciato» un giorno con Gesù e Lui ebbe ragione. Tra le tante missioni mi fece scegliere il sacerdozio. Ora ne sono contento, perché in compagnia del Cristo mi sono sempre trovato bene e capisco che nessun altro al mondo mi obbligherebbe a fare ciò che ora posso fare con Lui. Cristo o è tutto o è niente.
Vorrei gridare a tanti giovani la sua proposta: «Vieni e seguimi».

Cos’è per te la preghiera?
Riporto la definizione di Charles de Foucauld: «Pregare è pensare a Dio, amandolo». Si ama Dio con la propria vita (si intende vita «cristiana» perché si può anche essere prete senza essere cristiano) e si pensa a Lui parlandogli di tutto in particolari momenti della giornata.

Tu sei parroco in una delle parrocchie di periferia di Torino. Come sei accettato dalla tua gente?
La mia gente è buona e per questo mi accetta, mi comprende, mi aiuta. Però pretende da me e con ragione. Il popolo vuole il prete 24 ore su 24. Guai se non fosse così: devo rispondere delle imperfezioni del mio popolo se mi sono stancato nel cercare la mia perfezione.
Constato poi per esperienza che se sei veramente prete, non hai bisogno di parole per testimoniare e farti accettare: la gente crede alla tua vita.

A cura di Ernesto Olivero

 

 

 

 

 

 

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