A FIN DI PACE SI PUÒ FARE SOLO LA PACE

Pubblicato il 31-08-2009

di Redazione Sermig


La guerra in Medio Oriente non può avere termine se non si comincia a dialogare per capire le ragioni degli uni e degli altri... ma a fin di bene esiste solo il bene, a fin di pace si può fare solo la pace.


Di fronte alla guerra che si consuma in Palestina, non possiamo fare a meno
- noi ebrei, noi musulmani, noi cristiani - di sentirci la vergogna addosso.
A combattere sono uomini che si contraddistinguono per la loro fede nell'unico Dio: per gli israeliani ebrei è il Dio della pace e della giustizia, della Torah; per i palestinesi musulmani è il Dio clemente e misericordioso del Corano; per i palestinesi cristiani è il Padre che ama tutti, il Figlio che ci ha rivelato il perdono, lo Spirito che ci fa gridare 'abbà'. Tutti avrebbero in Dio motivazioni sufficienti per scegliere la pace, ma queste motivazioni non sono state dominanti, e così la tragedia si è consumata.
 
     
     
 
La nostra coscienza deve ribellarsi ai sentimenti di odio e di violenza, diventare ancora più vigile, educarsi a non pensare a nessun uomo come ad un nemico, aprirsi al perdono per poter attuare la giustizia. Questa guerra in Medio Oriente non può avere termine se non si comincia a dialogare per capire le ragioni degli uni e degli altri. Pochi giorni fa a Torino, proprio qui, a poche decine di metri da noi, durante una manifestazione per la pace in Palestina, abbiamo ascoltato ripetutamente il grido "a morte gli ebrei, a morte Bush". Manifestazioni analoghe si sono ripetute un po' ovunque. In questi giorni si sono organizzate, da Washington a Roma, quelle a favore di Israele, e anche qui, parte dei partecipanti, ha fatto di Arafat e dei palestinesi l'obiettivo contro cui urlare o di cui burlarsi in vignette e striscioni. Non possiamo accettare che in manifestazioni per la pace si inneggi alla morte di qualcuno! Tutto questo inasprisce i toni e non aiuta certamente la pace ad avanzare. Il mondo rischia di schierarsi sotto l'una o l'altra bandiera, invece che sotto l'unica bandiera della pace. Il metterci nei panni degli altri può aiutarci a capire le ragioni di questa violenza e a darci qualche possibilità di trasformarle in pace.
 
   

   

   
 
Gli israeliani non si sono dimenticati della loro storia:
temono che si ripeta una diaspora, che non possano trovare una terra dove essere rispettati, che si rinnovi l'olocausto subito da parte dei nazisti. In questo frangente si trovano sotto la pressione della paura, rafforzata dai continui attentati suicidi dei kamikaze e non si chiedono come possano investire nella condivisione e nella giustizia il loro potenziale economico e tecnologico. La lotta che conducono però li isola sempre di più e li fa odiare. Dobbiamo comprendere le loro ragioni, ma loro stessi devono comprendere le ragioni degli altri e non lasciarsi prendere dal rancore e dalla sete di vendetta.
Bisogna anche capire le ragioni della stanchezza del popolo palestinese, di chi da 50 anni vive in containers, di chi aspetta una terra, di chi vorrebbe coltivare i propri campi e non può, di chi è costretto ad allevare i propri figli senza una concreta speranza. Se un'elevata percentuale di palestinesi non vivesse all'estero cosa sarebbe la vita in quel fazzoletto di terra? Se non c'è speranza quale amore per la vita può esserci? E, se non c'è amore, la vita è alimentata da un odio terrificante. Capire le ragioni di entrambi significa riconoscere il diritto di entrambi i popoli a vivere nella propria terra, significa anzitutto ripristinare questo diritto. Il terrorismo va condannato e va isolato, ma non distruggendo un intero popolo, ormai intriso di violenza dal momento che da tempo non é riconosciuto e legittimato se non a parole.
 
 
Quali gesti si possono fare?

Che gesti possono fare gli Stati Arabi e i fratelli musulmani? Lo vogliono veramente uno Stato palestinese oppure il loro è un sostegno di facciata? E i cristiani, che sono minoranza sempre più esigua in Terra Santa, che cosa possono fare oltre all'impegno che già danno ora? E gli ebrei nel mondo? E l'Occidente? E l'ONU? E noi tutti?
Bisogna riaffermare il diritto dei due popoli a coesistere, bisogna che una forza di pace e mediatori al di sopra delle parti aiutino Israeliani e Palestinesi ad interrompere le ostilità, a dialogare, a cercare la strada della convivenza e della pace. Gli uomini e le donne di buona volontà facciano appello al diritto di tutti di vivere in pace dal momento che anche chi crede in Dio, da una parte e dall'altra, è entrato in un vortice di potere e si è dimenticato di condividersi e di servire. Quando si fa festa per la morte di un nemico, quando si disprezza l'altro, si creano divisioni sempre più profonde, si consolidano stili di vita che sono terreno fertile per il crescere di odi, di vendette, di guerre. E questo in una Terra che da duemila anni è Terra di Dio e proprio per questo dovrebbe essere Terra di pace.

 
           
 
Vorremo andare in quella terra a visitare i feriti di entrambe le parti. Vorremmo portare doni a tutte le famiglie che hanno perso un figlio o una figlia. Vorremmo che i bambini fossero educati a giocare insieme e non a credere che un piccolo palestinese o un piccolo israeliano è un nemico. Vorremmo aiutare gli uni e gli altri a vivere insieme ripartendo dai piccoli gesti della vita comune. Vorremmo che la moderazione prevalesse da entrambe le parti. Vorremmo aiutare a capire che a fin di bene esiste solo il bene, a fin di pace si può fare solo la pace. La pace esiste se tutti gli uomini e le donne sono in pace. La pace è giustizia e la pace arriva, se nel cuore, pur con tutte le nostre lacrime, siamo stati capaci di perdonare.
 
Uomini e donne di buona volontà,
credenti nella pace che è vita per tutti, si uniscano anzitutto nel rispetto delle due parti e nell'esigere da entrambi gesti di buona volontà. Si uniscano gli uomini e le donne di buona volontà, insieme ai responsabili mondiali perché cessi la guerra in Palestina che minaccia la stabilità e la pace anche nel resto del mondo.

Ernesto Olivero

 

 

 

 

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