AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA…
Pubblicato il 31-08-2009
… c’è un Continente in più. La cronaca di un pranzo particolare dall’Arsenale della Pace di Torino.
di Lucia Graziano
Al Convegno, già a partire dal giorno prima eravamo stati avvisati di prepararci, perché il Pranzo dei Popoli dell’indomani sarebbe stato “qualcosa di molto speciale”. Ce l’avevano anticipato, che il Sermig di Torino è un’istituzione nata per promuovere la giustizia e la solidarietà verso i Paesi più poveri. Ce l’avevano detto, che anche quel pranzo, organizzato dal Sermig nella sua struttura di via Borgo Dora, sarebbe stato un pasto all’insegna della solidarietà. E noi, sotto sotto, avevamo sbuffato, iniziando a preparare il portafoglio: un altro di quei noiosi pranzi in cui, mentre tu mangi, ti tormentano raccontandoti dei bambini che in quel momento muoiono di fame, pensavamo. Un altro di quei noiosi pranzi in cui, dopo un pasto fin troppo frugale, ti chiedono un’offerta per aiutare i bambini del Terzo Mondo, e tu la dai, e poi ti senti più cristiano e eroico, e per premiare la tua straordinaria generosità entri in un bar a farti un caffè. E che due scatole… |
In effetti, la visita al Sermig è iniziata malissimo.
800 milioni di affamati nel mondo; … e bla, bla, bla, le solite noiosissime informazioni, che a ben vedere è pure irritante, ricevere dieci minuti prima dell’ora di pranzo. “I ragazzini africani che muoiono ogni giorno di fame e malattia, non l’hanno mica scelto, di nascere in quel posto”, ha affermato a un certo punto il ragazzo sorridente, con l’aria di chi ha fatto la scoperta del secolo. “E voi, ragazzi… voi, l’avete scelto, di nascere qui in Italia?”. |
Ovvio che no, scemo, veniva da dirgli: adesso facci alzare e andiamo a mettere qualcosa sotto i denti, ché si sta scomodi seduti qui per terra.
Hanno fatto entrare due bussolotti dove erano nascosti un centinaio di foglietti, rappresentanti un centinaio di Paesi del mondo. E poi hanno chiesto a ognuno di noi di estrarre un foglietto, a occhi chiusi. |
“E ora”, ha chiesto il ragazzo appoggiandosi ad un lungo tavolo rosso collocato al fondo della sala, “si mettano in piedi, per cortesia, i ragazzi che hanno un foglietto in cui il nome del Paese è sottolineato di nero”. Eravamo in dieci, su oltre un centinaio. Il ragazzo è passato con un microfono, per farci dire ad alta voce i Paesi di provenienza: “Paesi Bassi”, “USA”, “Italia”, “Canada”, “Singapore”, “Germania”, “Finlandia”, “Francia”, “Regno Unito”, “Giappone”. |
“E ora”, ha ordinato il ragazzo tornando al lungo tavolo rosso che nel frattempo era stato coperto con una tovaglia, “i dieci Paesi ricchi che sono in piedi, si avvicinino pure a tavola e si preparino a mangiare”.
Al tavolo dei Paesi ricchi, i camerieri ci hanno riempito i piatti di riso. E poi ne hanno lasciato un’altra ciotola sul tavolo, nel caso ci venisse ancora fame più tardi. “Ne volete ancora un po’, Paesi ricchi?”, ha chiesto gentile il ragazzo col microfono. “No, per carità”, abbiamo risposto velocemente, iniziando a nutrire il serio sospetto che i nostri novanta amici avrebbero realmente dovuto mangiare solo quel poco che era avanzato. “Sicuri sicuri sicuri di non volerne più?”, ha insistito il ragazzo col microfono, inarcando le sopracciglia. “Sicurissimi!”, hanno risposto Singapore e la Germania.
Porto Rico ha gridato: “No, ma che ca…!”. Il Regno Unito e il Giappone si sono scambiati un’occhiata allibita, fissando il ragazzo col microfono come se fosse un matto. Intanto, seduti sul pavimento duro e polveroso, il Gabon e la Nuova Caledonia si erano lanciati sull’unico piatto di pasta a disposizione dei novanta Paesi poveri, e, da amici che erano, se lo contendevano con marcato entusiasmo. Le Isole Marshall affondavano le mani nella pentola di acqua, cercando disperatamente di bere le poche gocce che non scivolavano giù dalle loro dita; il Niger e la Birmania intanto si erano già alzati, avventandosi contro le Marshall e inveiendo: “deficiente, non metterci le mani dentro, ché non te le sei lavate e poi ci sporchi tutta l'acqua a disposizione!”. |
Il Canada, in un silenzio allibito, si è infilato in bocca una forchettata di riso. Il Camerun, molto dignitosamente, si è alzato e ha preso il cestino della spazzatura; dopo di che, con notevole nonchalance, ha iniziato a mangiare da quello. “Oddio che schifo…”, hanno mormorato i Paesi Bassi, sgranando gli occhi alla vista del loro distinto ex-professore impegnato a ravanare nella monnezza. Ma nell’arco di trenta secondi anche il cestino della spazzatura era stato preso d’assalto, e c’era chi adesso veramente si spintonava, per assicurarsi un pugno di riso in più. |
Poi venne il tempo della rivoluzione marxista, quando una decina di Paesi poveri raggiunsero il tavolo dei ricchi e si appropriarono con la forza delle merendine e delle patatine fritte.
Ma alla fine della giornata, furono i Paesi ricchi ad aver mangiato di meno. |
Lucia Graziano |
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