BIRMANIA: per saperne di più / 2

Pubblicato il 31-08-2009

di Redazione Sermig


Completiamo l’approfondimento sul Paese asiatico. Lavoro forzato, deportazione, violenza sulle donne, fuga dal Paese tra i problemi da risolvere. Il ruolo del sindacato e della comunità internazionale.

dal Dossier Iscos


LAVORO FORZATO E DEPORTAZIONE

In Birmania, a dispetto della legge approvata nell'ottobre 2000, il lavoro forzato continua ad essere lo strumento principale per la costruzione d’infrastrutture e per il sostegno alle attività militari. Secondo questa diffusa pratica donne, bambini e anche anziani sono obbligati a lavorare, in condizioni estremamente difficili o pericolose, senza alcun compenso né assistenza medica. Chi non resiste e si ammala è spesso eliminato fisicamente. In questo contesto molte delle donne sono violentate o comunque costrette ad offrirsi ai militari. L’unico modo per le famiglie di evitare il lavoro forzato è di pagare una tassa mensile di 300-5000 kyat (da € 1,50 a 22,00). Un vero salasso, considerando il reddito poverissimo dei birmani.

donnebirmania.jpg Negli ultimi anni, da quando la giunta ha deciso di dare al Paese un’immagine più accettabile e di investire nel turismo, il fenomeno del lavoro forzato, anche minorile, è andato accentuandosi nelle aree abitate dalle minoranze etniche, per la costruzione di strade, la manutenzione e riparazione dei campi militari, la coltivazione e il taglio della legna. Dal 1988, inoltre, essendosi il governo impegnato a raddoppiare la superficie di coltivazione, si è verificata la costituzione di "villaggi di lavoro" per aiutare gli imprenditori privati, compresi gli investitori stranieri, a sviluppare le piantagioni.

Col pretesto di facilitare l'abbandono delle colture di papavero, si è favorito il trasferimento massiccio delle popolazioni dell'etnia Wa, alleate del regime, che abitano nei distretti del nord dell'area Shan lungo la frontiera cinese, ai territori meridionali lungo la frontiera tailandese. Questo ha permesso loro di installarsi solidamente grazie ai proventi della droga, tra cui quello della fabbricazione su grandissima scala delle anfetamine che inondano il mercato tailandese. Da qualche anno la giunta ha intrapreso una politica più ampia di birmanizzazione forzata con spostamenti coatti delle popolazioni Shan, rimpiazzate da contadini birmani provenienti dalla pianura e successivamente i soldati sono stati esortati da circolari governative a sposare donne Shan, mentre alcune Ong hanno pubblicato il 19 giugno 2002 un imponente studio, "Licence to rape", che denuncia lo stupro come arma di guerra: su cinque anni di studio sono stati rilevati ben 625 stupri di donne.


L’ESODO

Da quando la giunta militare è al potere, l'esodo dei birmani dal loro Paese è stato massiccio. Nella sola Tailandia il numero di immigrati birmani è impressionante: si è passati da 100.000 nel 1991 a 1.500.000 nel 2000. Questa crescita esponenziale sta diventando un problema di sicurezza nazionale anche per il governo tailandese. L'enorme massa di clandestini non può fare, per la maggior parte, che lavori sporchi, pericolosi e spesso illegali. Moltissimi emigrati arrivano a destinazione con la malaria, la tubercolosi o in condizioni di grave malnutrizione. A fuggire non sono solo grandi fette di popolazione rurale, ma anche migliaia di studenti, accademici, medici e tecnici. Per le donne, la condizione di emigrata è ancora più dura: se in Birmania sono vittime della violenza e degli abusi dell’esercito, in Tailandia abusi e violenze continuano nelle fabbriche tessili, nelle piantagioni e nel racket della prostituzione.

Per molti la condizione di rifugiato significa disadattamento totale e quindi disperazione e malattie, non ultimo l'AIDS che è dato in preoccupante crescita. Altra minaccia nei confronti dei giovani comincia ad essere l'utilizzo delle anfetamine, importate clandestinamente dalla Birmania. birmania6.jpg

L'economia della droga è, infatti, quella che, insieme al commercio delle armi, continua a sostenere la giunta militare: la Birmania è un grande produttore di oppio e la giunta non ha mai contestato il potere, né minacciato la ricchezza dei signori della droga, consentendo loro di promuovere società e joint ventures con aziende estere, per il riciclaggio del denaro sporco.

Gli immigrati illegali vivono e lavorano clandestinamente nei cantieri edili, in agricoltura o nelle fabbriche di abbigliamento, la maggior parte delle quali – anch’esse illegalmente – producono per l’esportazione. Tutti sanno cosa succede in questi luoghi, compresa la polizia, che spesso ricatta sia imprenditori che lavoratrici.


L’AZIONE DEL SINDACATO

Il sindacato fu dichiarato illegale in Birmania nel 1962 e sostituito da una "Labor Association" che non era altro che un’emanazione della giunta militare.
La “Federazione dei Sindacati Birmani” (FTUB) fu invece fondata nel 1991 da lavoratori e studenti costretti a trovare riparo all’estero per sfuggire alla persecuzione dei servizi segreti. Gli obiettivi del sindacato consistono nel riportare la democrazia e il rispetto dei diritti umani in Birmania; creare nel Paese libere associazioni di lavoratori; ottenere un’equa distribuzione della ricchezza, offrendo pari opportunità alla popolazione.

Il sindacato birmano in esilio ha un’organizzazione capillare e svolge molte attività per il riconoscimento dei diritti nei luoghi di lavoro. Accanto all’attività sindacale in senso stretto ne esiste una di sostegno alle famiglie, grazie anche all’apertura di scuole e asili, che vengono gestiti con pochi mezzi ma grande professionalità. I campi dei rifugiati sono luoghi in cui si organizzano gli immigrati e soprattutto si formano i lavoratori che rientreranno in Birmania clandestinamente. Preparare il ritorno, costruire la società democratica, promuovere il lavoro. I corsi di formazione professionale sono uno strumento formidabile per far sperare nel futuro: "Perchè ciascun giovane dovrà poter fare un lavoro al momento del rientro e dovrà conoscere anche i propri diritti in quanto lavoratore".


LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

La situazione generale permane gravissima.
Sono inoltre pervenute testimonianze di repressioni contro cristiani e musulmani. Fondamentalmente lo SPDC (State Peace and Development Council – nuovo nome della giunta militare) proibisce tuttora alle associazioni che si occupano di diritti umani e di rispetto della democrazia di operare in Birmania: quelle che lo fanno hanno sede all’estero.

L'Unione Europea nel 1997 ha sospeso il diritto all'accesso dei prodotti provenienti dalla Birmania ai mercati europei a condizioni privilegiate previsto per i Paesi in via di sviluppo, in seguito ad una protesta formale contro il regime di lavoro forzato presentata da ICFTU (Confederazione Internazionale dei Sindacati Liberi), ma ha recentemente preso in considerazione la possibilità di aumentare gli aiuti umanitari. Né la Banca Mondiale, né la banca per lo sviluppo asiatico hanno più ripreso forme di assistenza alla Birmania, dato il totale fallimento da parte dello SPDC nell'avviare le riforme economiche sollecitate.

Le sanzioni della comunità internazionale verso la Birmania e il suo regime dittatoriale, insieme alle campagne di boicottaggio adottate da gruppi e associazioni, hanno dato dei buoni risultati, ma è bene che inizino le trattative per creare delle possibilità reali di democratizzazione di questo Paese.

Dossier Iscos
Torino 2003
BIRMANIA: per saperne di più / 1

 

 

 

 

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