ERITREA: Report da Asmara

Pubblicato il 31-08-2009

di Redazione Sermig


All’Arsenale della Pace tu stai fermo e il mondo ti scorre davanti. Anche pezzi di mondo lontani, come quelli di chi fugge dall’Eritrea, e porta notizie che non avresti voluto sentire.

a cura della Redazione


Alle informazioni che seguono non possiamo dare una paternità, perché nome e volto sparirebbero presto nel nulla, tanto capillari sono il controllo e la repressione di Isayas Afwerki, (foto) presidente dittatore dell’Eritrea, eletto ad interim nel 1991 e tuttora al comando di un Paese di 3.500.000 persone disastrato da 30 anni di guerra con la confinante Etiopia. Dell’assenza completa di libertà ha fatto le spese, accanto a leader politici, religiosi, giornalisti, insegnanti, perfino un Ambasciatore italiano, Antonio Bandini, espulso nel 2001 per essere intervenuto presso il governo di Asmara, a nome dell’Unione Europea, in tema di diritti umani e libertà di stampa. Una crisi diplomatica ricucita otto mesi dopo ma con strascichi pesanti.
Isayas Afwerki Per capire quanto sia discussa la figura di Afwerki, basta cercarne il nome su Wikipedia: la pagina dedicatagli viene modificata in continuazione… Anche un’occhiata ai tanti motori di ricerca è interessante: di Eritrea si parla quasi solo con riferimento all’annoso e sanguinoso conflitto con l’Etiopia, che ha avuto di recente una nuova recrudescenza, oppure per motivi turistici.

Eppure è impressionante la lista di organismi internazionali che l’accusa di gravi violazioni dei diritti umani. Il Paese è all’ultimo posto (il 173°) nel Report 2008 di Reporters sans Frontières sulla libertà di stampa (rsf.org). Non so voi, io l’avevo sentito dire solo sottovoce. Chiediamoci il perché… Forse perché l’Eritrea è un avamposto strategico del mondo occidentale, USA in testa, per la sua posizione che dà accesso al Mar Rosso e fronteggia l’Arabia Saudita. Forse perché potenti uomini d’affari, anche italiani, hanno fatto fortuna costruendo a Massaua hotel dai prezzi proibitivi, ai quali si arriva con voli riservati dall’Italia, per un week end lungo fuori porta…

Se invece volete viaggiare da comuni mortali, la cosa si fa complessa. Eritrean Airlines infatti (eritrean-airlines.it) ha annunciato che “allo scopo di migliorare il proprio servizio aereo e adeguarlo ai più recenti standard internazionali… ha sospeso temporaneamente i suoi voli”. Potete ancora rivolgervi a Lufthansa ed Air One, purché siate pronti ad affrontare due/tre scali per ca. 25 ore di viaggio ed un costo sui 3.000 €.

Atterrati ad Asmara, non fatevi ingannare dalle immagini di modernità: un biglietto da visita per il turista che non ha alcun riscontro nella realtà del Paese. Chiedete di un negozio che vende prodotti italiani: all’interno non troverete quasi niente, in vetrina solo scatole vuote. Gli alimenti non arrivano più, ma il negozio resta aperto perché sa che se chiude non gli sarà più permesso riaprire. Il pane è razionato, per trovarlo occorre muoversi in piena notte; quest’anno non è piovuto, e non c’è neppure farina. Perfino i militari soffrono la fame, nutrendosi solo di lenticchie e verdure.
Inutile spedire alimenti dall’estero: i pacchi non vengono sdoganati e scompaiono. Il presidente rifiuta gli aiuti ed espelle operatori umanitari e missionari stranieri (nigrizia.it). I visti d’ingresso sono concessi solo per motivi turistici.

Le limitazioni sono particolarmente forti per chi desidera visitare le comunità religiose: viene concesso un visto per una sola località, e continui posti di blocco ne controllano il rispetto. È una delle tanti azioni mirate ad eliminare dal Paese la Chiesa (non solo cattolica ma anche ortodossa), o a farne una Chiesa nazionalizzata e controllata, sullo stile cinese.
Quanto ai religiosi eritrei, la loro presenza è tollerata ma controllata in ogni movimento, scambio, telefonata. I tre vescovi locali hanno scritto di recente una lettera al presidente Afwerki, evidenziando come non sia possibile per la Chiesa essere nazionalizzata, ma il processo continua, anche con riguardo alle opere sociali come ospedali, scuole, centri d’aggregazione.
Il governo vuol prendere in mano altresì le adozioni a distanza degli studenti, e lo scorso anno ha convocato allo scopo tutti gli istituti religiosi chiedendone un elenco nominativo. La priorità del Paese infatti non è formare le nuove generazioni, ma accrescere la propria forza militare. Una priorità che riguarda sia uomini che donne, e che il governo vorrebbe imporre anche a novizie e seminaristi. Qualora il figlio si sottragga, le famiglie rischiano ritorsioni e sono costrette a pagare somme ingenti per evitare il carcere. L’amor patrio porta alcuni giovani ad accettare, ma la maggior parte di loro è recalcitrante ad affrontare le brutture che l’arruolamento porta con sé.

flagmaperitrea.jpg Proprio la condizione dei giovani è uno dei motivi di maggior attrito tra governo ed istituzioni religiose, che tradizionalmente offrono ai giovani possibilità formative.
Ogni tipo di studio, infatti, deve interrompersi al compimento del diciottesimo anno di età. Ragazzi e ragazze vengono radunati in quelle che vengono definite scuole ma in realtà sono grandi caserme, nelle quali vivono insieme; l’unica formazione impartita è quella ideologica e l’addestramento militare. Nessuno di loro termina il percorso di studi secondari, e le università stanno chiudendo per mancanza di studenti. Il governo non ama che la sua gente si istruisca, un popolo che pensa creerebbe troppi problemi.

Ci sono solo due modi di sottrarsi a questo destino incombente: farsi mettere incinte, per le femmine, o fuggire all’estero, una scelta abbracciata da molti, tra cui le menti migliori del Paese. Una scelta che porta i giovani ad attraversare Sudan e Libia con enormi rischi e fatiche, sino a raggranellare la cifra necessaria (1.500 € ca.) per un posto sui barconi del mare. Se vengono imbarcati (c’è anche chi paga e poi resta a terra), il loro è un viaggio di non ritorno. Non solo perché per molti il mare diviene tomba, ma anche perché il ritorno in Eritrea dopo la fuga significherebbe la condanna a morte per diserzione (nel giugno 2005 con questa accusa sono stati fucilati 161 tra ragazzi e ragazze*). Eppure ci sono Paesi che continuano a rimpatriare a forza profughi eritrei senza riconoscere loro lo status di rifugiati politici (è del luglio scorso un appello internazionale contro il rimpatrio dall’Egitto), nonostante il principio di non espulsione per chi nel suo Paese rischia torture e trattamenti degradanti sia sancito dalla Carta Europea e da più Convenzioni ONU.

L’altra via per uscire dal Paese, quella regolare, può essere percorsa, anche per le donne, solo dopo il compimento dei 45 anni di età. Una limitazione che, oltre ad impedire qualunque tipo di formazione all’estero, mette a rischio la vita di chi ha gravi problemi di salute, non curabili sul territorio eritreo.
Non stupisce, dunque, che l’Eritrea compaia dal 2005 al primo posto tra i Paesi di provenienza dei richiedenti asilo politico in Italia, con 1.248 richieste, divenute 2.151 nel 2006 e 2.260 nel 2007 (Dossier Statistico Immigrazione 2008 Caritas/Migrantes).
Ora sappiamo che non si tratta dei “soliti africani che vengono a portarci via il lavoro”…

A cura della redazione
da Nuovo Progetto dicembre 2008

Approfondimenti su:
asper-eritrea.com,
aiuto-chiesa-che-soffre.ch

*Vedi le interrogazioni alla Camera dei Deputati del 4 ottobre 2007, 5 dicembre 2006 e 6 novembre 2002

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