Facciamo parlare i giovani

Pubblicato il 31-08-2009

di Redazione Sermig


C’è una differenza tra parlare dei giovani e amare i giovani.

di Ernesto Olivero

 La questione giovanile tiene banco sui media europei e in Italia in conseguenza delle violente proteste nelle periferie urbane, ma anche dei coraggiosi segnali di ribellione positiva alle mafie e alla criminalità organizzata che gruppi di giovani da altre periferie degradate lanciano alla società civile. Da più parti si percepisce l’urgenza di proporre un modello educativo valido e maestri all’altezza del compito che l’attuale momento critico richiede.

Tanti parlano di giovani, ma pochi, a volte nessuno, fanno parlare i giovani. Mi ritorna in mente il 1° Appuntamento Mondiale Giovani della Pace a Torino. Ne aspettavamo tanti, 10-20 mila. Arrivarono in più di 100.000. Non bastò piazza San Carlo a contenerli, occuparono via Roma e piazza Castello. Quel giorno persi una scommessa che ero sicuro di vincere. Al mattino, mentre la piazza si stava riempiendo con sorpresa e immensa gioia da parte nostra, un gruppo di ragazzi, abbigliati con anelli e vistose catene, quasi per sfida venne a dirmi: “Scommetti che domani quasi nessuno parlerà di questa manifestazione?” “Figuriamoci – rispondo - siamo talmente tanti!” “No Ernesto, vedrai che sarà come diciamo noi perché sappiamo che non ci inviterai a spaccare vetrine, a occupare banche, a imbrattare muri, tutte cose che fanno notizia”. Persi la scommessa, amaramente persi la scommessa.

100.000 giovani che vogliono ridisegnare il mondo partendo dalla pace, dalla giustizia, non fanno notizia. Prima di parlare dei giovani facciamoci guardare in faccia da loro, facciamoci dire in faccia l’ipocrisia che vedono in noi. Poi diamo la parola a loro, invece di parlare di loro.
È una vita che scommettiamo sui giovani e con loro stiamo spaccando il mondo. Un giorno un ragazzo disse al suo animatore: “Non ci credo perché tu non ci credi. Perché mi vuoi convincere?” Molti giovani sono appiattiti, drogati, persi e lo sono in numero sempre crescente. Ma non sono fessi! Vogliono capire se tu ci credi veramente. Vogliono persone che credono in quello che dicono e lo fanno. Vogliono guardarti fisso negli occhi e vedere come te la vivi la vita.

I maestri ci sono, ma sono i giovani che devono dare ai maestri la patente di credibilità. Sono i fatti della vita, come vivi, come parli, come usi i soldi, ad assegnarti la patente di maestro. C’è una domanda che faccio continuamente ai giovani che incontro: quanti di voi dovranno ancora morire di niente prima che vi rialziate per camminare? La stessa domanda però dobbiamo avere il coraggio di farcela sul serio noi adulti: quanti giovani dovranno ancora schiattare prima che ci accorgiamo di loro? Dov’è il mio “fratello giovane”?

Torino 17 novembre 2005
Ernesto Olivero
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