I pellegrini della Sindone all'Arsenale della Pace

Pubblicato il 10-08-2011

di Redazione Sermig

Erano prenotati 12.000 passaggi, tra visite, pasti, pernottamenti, liturgie. Ma a conti fatti, saranno molti di più. Giunti a Torino per vedere la Sindone, transitano dall'Arsenale della Pace. Una grossa fetta di Chiesa, ma anche di umanità. 
a cura della Fraternità del Sermig

 

Sono le 9.00 di sabato mattina 1 maggio.
Dal portone spalancato dell'ex arsenale militare di Torino, oggi Arsenale della Pace, la gente entra a fiotti, riempiendo in breve tempo l'ampio cortile interno. Sono i pellegrini del XXI secolo, coloro che non si vergognano di cercare Dio. Coloro che, guardando oltre la povera umanità di una Chiesa sballottata dai suoi stessi limiti e dai limiti altrui, cercano l'origine dell'amore: il volto del Cristo.
 
Non per tutti, certo, l'intento è così chiaro. Un pensionato scoraggiato, berrettino giallo "Oratorio S. Biagio", si accalora: "Io non so più se faccio bene a credere. Questo mondo sta andando verso la fine!". C'è poi il turista curioso, che approfitta dell'occasione-sindone per vedere Torino. E ci sono gli stacanovisti del pellegrinaggio, che in un solo giorno hanno programmato Sindone-Ausiliatrice-Cottolengo-Sermig... e appena entrano dal nostro portone stramazzano senza forze sui lunghi sedili in pietra chiara. Al loro fianco, la statua di San Francesco dono di Giovanni Paolo II li osserva sorniona, e con le braccia alzate al cielo sembra invitarli a una maggior essenzialità.
 
Le parlate si mescolano. Ma non è una nuova babele, anzi, è il rinnovarsi della comprensione. Ci sono i belgi, che dicono alcuni numeri diversamente dai francesi. Ma ci capiamo. Ci sono i francesi di Lourdes che cercano il "Cottolengo di Frassati", e altri da St. Etienne - circa duecento, vescovo in testa - che invadono ogni angolo con il loro fazzoletto verde al collo. I trevisani si trovano a casa quando scoprono che una buona parte di Fraternità del Sermig è veneta, e i milanesi per la prima volta sono disposti ad ammettere che esiste anche Torino. C'è il gruppo della provincia lombarda guidato dal parroco: dietro a lui, l'intero paese. A casa sono rimasti solo cani, gatti e qualcuno impossibilitato a muoversi.
 
C'è chi ha affrontato lunghi viaggi, felice di tornare al Sermig, come gli amici della Sardegna, quelli della Puglia accompagnati dall'amico vescovo di Teramo mons. Seccia o, un po' più vicini, i pellegrini di Lucca con il loro vescovo Castellani. E insieme ai nodi della fede, a Torino riallacciano i nodi del cammino di preparazione del 3° Appuntamento Mondiale Giovani della Pace, quanto mai a tema con il suo slogan: "Una buona notizia: il mondo si può cambiare".
 
In tanti tra le mura dell'Arsenale incontrano Ernesto Olivero, fondatore e animatore di un'opera che in 46 anni di vita si è estesa in tutto il mondo con progetti di sviluppo, azioni di pace e altri due Arsenali, uno in Giordania, l'altro in Brasile. E ritrovano intatta, nelle sue parole, la freschezza dell'annuncio apostolico: "Non cercate tra i morti Colui che è vivo. La storia sacra non è finita con l'Uomo della Sindone. Il nostro Dio è il Vivente, e anche oggi ci invita all'amore, che è dare da mangiare all'affamato, ridare una speranza a chi l'ha perduta...".
 
Tornare a gustare il sapore di vite imperniate sulla presenza di Dio è - dicono in tanti - ciò che tocca maggiormente il cuore, dando risposta alla domanda che attrae a Torino. Ed anche per noi della Fraternità, che accogliamo i pellegrini a migliaia, 24 ore su 24, sette giorni su sette quasi senza respiro, questa è la gioia più grande: veder spuntare lacrime di speranza, vedere volti rassegnati riaprirsi con stupore alla fiducia, sentir dire "Ma allora, è possibile!". Preparare, in fondo, almeno un poco, la via al Signore dentro le vite degli uomini.
     
La Fraternità del Sermig
 
 
 
 
 
 

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