Il tempo della speranza

Pubblicato il 31-08-2009

di Redazione Sermig


27 novembre – L’intervento di Ernesto Olivero all’incontro di preghiera del martedì sera ricostruisce una tappa importante della Storia del Sermig per sfociare poi nell’esigenza della carità.

di Ernesto Olivero


Il tempo che noi stiamo vivendo è un tempo davvero difficile, un tempo che sembra impossibile vivere senza disperazione. Ma è il nostro tempo e l’abbiamo nelle nostre mani. Tutto quello che è nelle nostre mani, se noi ci abbandoniamo a Dio, possiamo tentare di trasformarlo. Sappiamo che non c’è nessun documento, nessuna parola che possa cambiare un momento di buio. Solo la luce può annullarlo. In un momento buio come questo la luce è la speranza. Noi abbiamo il dono della speranza, ma non ce lo siamo inventato; sarebbe stato presuntuoso, sarebbe stato da incoscienti affermare che il Sermig ha il dono della speranza.
Quando abbiamo iniziato non sapevamo dove andare, ma sapevamo con chi volevamo andare. Volevamo andare con Gesù. E volevamo stare nella Chiesa pensata da Lui. Molti ci criticavano: chi ci voleva portare a destra, chi a sinistra; chi ci voleva portare tra i conservatori, chi tra i progressisti… ma noi volevamo stare con Gesù e amare, cercare di amare come Lui. Il vero amore è sproporzionato e se non è sproporzionato non è amore. Così, con questo amore, volevamo abbattere la fame nel mondo e nel cuore era già fatto. Un po’ alla volta la nostra storia si è allargata, ha incontrato tanta gente e molti hanno cominciato a dirci: voi date speranza. incontromartedi.jpg

Abbiamo scoperto così che la speranza era il dono specifico che il Signore ci aveva fatto e la gente ce lo riconosceva. Alcuni anni dopo, Papa Giovanni Paolo II incontrandoci, lo confermò con queste parole: “Tirate fuori la speranza assopita nel cuore degli uomini”.

Ricordo quanto ci disse un prete della Valle d’Aosta che partecipava ad un nostro incontro: “Sermig, Sermig, voi date speranza. Ogni volta che c’è un guaio nella Chiesa aspettiamo di conoscere la vostra posizione, perché voi date sempre speranza”. Questa speranza riecheggiava.

Qual è l’avvallo della speranza? Tutti possono dare una buona parola, tutti possono dare un consiglio, ma l’avvallo del consiglio buono, della parola buona, è la carità: se noi, ogni volta che ci incontriamo non restituissimo i nostri soldi, il nostro tempo, la nostra intelligenza, le nostre parole sarebbero vane, le nostre parole sarebbero retorica. Allora noi – e lo ripetiamo sovente – per una esigenza di amore, per una esigenza di gratitudine a Dio che ci vuole bene, ogni volta restituiamo: i nostri soldi, il nostro tempo, la nostra intelligenza. Anche negli incontri all’Arsenale della Speranza a San Paolo in Brasile proponiamo la restituzione, e in mezzo a noi ci sono dei poveri che non hanno neanche lacrime da piangere: nessuno è talmente povero da non poter aiutare qualcun altro, può essere più gentile, può essere meno nervoso. E quanti reais sono stati donati anche dal popolo della strada, quanti!

Ricordo un povero che mi aveva fermato mentre camminavo per le strade di San Paolo. Stavamo facendo un pellegrinaggio per aiutare i bambini non solo del Brasile, ma del mondo intero. Quando lo capì tirò fuori dalle tasche tutti gli spiccioli che aveva, pochissimi, e me li diede dicendo: “Voglio esserci anch’io con voi”.

Anche questa sera il sacchetto della restituzione che passa tra le nostre mani può diventare nuovamente un esame di coscienza. È per esigenza di amore, per esigenza di credibilità, che diciamo: “Signore, noi veramente ti vogliamo bene, noi veramente ti ringraziamo per quel po’ di salute che abbiamo, per il tempo da vivere, per l’intelligenza e vogliamo, grazie a Te, ma lo facciamo solo per Te, condividerli”.

Molti di noi stanno dando la vita, ma la vita dobbiamo darla con gioia e convinzione. La noia e l’abitudine non devono bussare alla nostra porta. Se bussano devono trovare occupato: “Siamo impegnati con la speranza!”. Allora la speranza diventa una luce più vasta.

Il buio non aspetta altro che di essere illuminato dalla speranza, perché il buio, il male – e lo sento con profondità – alla sua maniera prega, chiede di essere convertito; anche lui non ne può più di fare del male, perché fa del male anche a se stesso.

 

 

 

 

 

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