Capodanno 2009: INTERVENTO DI PICCOLA SORELLA ELISABETTA

Pubblicato il 31-08-2009

di Redazione Sermig

Elisabetta, del Movimento contemplativo missionario p.de Foucauld di Cuneo, è intervenuta al Cenone del Digiuno organizzato dal Sermig per Capodanno 2009. Pubblichiamo integralmente la sua testimonianza. Elisabetta ha vissuto negli ultimi anni ad Elwak, a nord est del Kenya, con Rinuccia e Maria Teresa, le due religiose italiane rapite nella notte tra il 9 e il 10 novembre 2008.

a cura della redazione


Piccola Sorella Elisabetta Ciao a tutti il mio nome è Elisabetta, sono qui con voi per vivere insieme un momento di testimonianza.
In questi giorni ho letto un’intervista che avevano fatto a Frère Roger e alcune frasi mi hanno colpito… “Nel Vangelo c’è una dinamica di universalismo la visione del mondo come una sola famiglia di Dio.
Andando lontano a creare rapporti con persone di altre origini a culture ancor prima di parlare esplicitamente di Dio o di Cristo si esprime la nostra certezza che la fede nel Dio di Gesù è creatrice di comunione, di amicizia tende a superare tutte le barriere erette dagli uomini.”
Queste parole mi hanno toccato perché rendono l’idea di quello che ho vissuto nei miei anni di Missione. Sono partita per la prima volta per il Kenya nel 99 e di questi 9 anni, 6 li ho vissuti nelle nostre fraternità del nord-est Elwak e Mandera, due posti assolutamente desertici, sperduti e sconosciuti che però sono diventati tristemente famosi in questo periodo dopo il rapimento delle nostre due sorelle Maria Teresa e Rinuccia con le quali ho vissuto in questi anni.

Gli abitanti di questi posti sono di etnia somala e di religione musulmana. Il piccolo gruppetto di cristiani con il quale ci troviamo a pregare: 20, 30 persone su 15 mila, 20 mila abitanti. Questi cristiani sono tutti dipendenti statali che vengono da altre parti del Kenia e vengono mandati lì per lavoro, sono poliziotti, infermieri, e anche loro si sentono una minoranza straniera accettati ma mai accolti.

A volte in questi anni mi sono chiesta: che senso ha la nostra presenza qui: 2 o 3 sorelle, 2 fratelli sacerdoti in questo ambiente, perché, che cosa facciamo? Questa domanda mi è tornata dentro in questi giorni, nei quali il corpo è qui ma la mente e tutto il resto di me e di noi come comunità è là con loro.

Le nostre fraternità di missione in questa realtà come in altre parti del mondo vivono tra i poveri una presenza di condivisione, di servizio e di preghiera. Non abbiamo impiantato strutture imponenti tra quella gente. Non abbiamo fatto opere per cui potranno ricordarci o mostrarle in futuro. Che cosa vuol dire allora la nostra presenza. Alla luce di quello che è successo, mi chiedevo hanno avuto senso questi 25 anni a Elwak e 36 anni a Mandera? Anziché una risposta a parole, di fronte a questi interrogativi mi vengono spontanei dei volti, delle persone, dei nomi… proviamo a ricordarne insieme qualcuno:
Penso ad Ali un piccolo nato di 1 Kg. Da una madre sfinita dalla fatica e dalla carestia. Ali ha lottato con tutte le sue forze per sopravvivere e noi con lui e con i suoi genitori. Non esiste incubatrice ad Elwak non c’era neanche corrente elettrica e allora avvolgevamo Ali in un foglio termico, una specie di coperta di stagnola. E lui ce l’ha fatta, ora ha 2 anni e corre. Pensavo alla fiducia dei suoi genitori verso di noi, 2 straniere.

Oppure penso a Fatuma, Halima, Abiba e tante altre tutte ragazzine che dopo aver scoperto di essere rimaste incinta sono state rifiutate dal papà del bambino e dalla loro stessa famiglia. Quanti momenti di lacrime, di speranze vissuti con loro, in un’accoglienza semplice quando non avevano nessun altro posto dove andare e questo piano piano le ha aiutate ad amare il loro bambino e a riconciliarsi con la loro famiglia.

Ancora penso ad Isaac, un ragazzino di 14 anni; lo abbiamo trovato legato al letto nella sua capanna, tutti lo dicevano matto perché in realtà faceva cose strane. Dopo averli convinti a slegarlo è venuto per un po’ a stare con noi; pian piano è rifiorito, ha ricominciato a curare la sua persona, ad andare a scuola, ad avere amicizie. La diagnosi è stata chiara a sua malattia era solo dovuta alla fame.

E potrei ancora continuare però in questi giorni mi colpiscono di più le immagini attuali della nostra gente. I nostri fratelli, le nostre sorelle con molta sofferenza in questi giorni hanno dovuto lasciare Mandera per motivi di sicurezza ma continuano ad essere in contatto con tanti dei nostri che ci mandano ancora notizie,… ecco alcuni flash di quello che vivono:
Halima, una mamma nostra amica, la notte dopo il rapimento sfidando il coprifuoco è voluta andare a casa nostra per dormire vicino alle sorelle di Mandera con i suoi figli per proteggerle.
Penso a Saadia che ha chiamato tutte le vicine a pregare il Corano con lei nella sua capanna e hanno ucciso una capra come sacrificio ad Allah per la liberazione di Maria Teresa e Rinuccia.

Penso ad Aden un anziano nostro vicino che è andato a chiedere allo Sheik della moschea il permesso di pregare per le sorelle anche se cristiane e lui gli ha risposto, si prega per loro perché sono donne di Dio; da quel momento Aden tutte le notti alle due alza ad Allah una accorata preghiera per la loro liberazione e ha detto che lo farà fino a quando questa si realizzerà.
E poi Fatuma che continua a telefonare a Nairobi dicendo: io non posso non pensare a voi, perché voi siete nostre.

Piccola Sorella Elisabetta Queste parole scaldano il cuore in questo momento, sono tutti fedeli dell’islam sia quelli che le hanno rapite, sia quelli che ci consolano. Questo vuol dire che il dialogo e la condivisione della vita sono possibili. Significa che creare amicizia nella diversità non è un’utopia, significa che il Vangelo è offerta di comunione anche oggi, in qualsiasi situazione ci troviamo a vivere. Questa certezza aiuta me, aiuta noi anche nei momenti di scoraggiamento e di paura anche nei momenti in cui ci sembra di non avere nessuna cosa concreta in mano. Ogni amicizia creata rimane, ogni persona amata ha un peso, un senso, anche se non quantificabile secondo i nostri criteri.

Di fronte a tutto questo allora tutte le domande sul senso della nostra presenza lì perdono tutto il loro spessore, e invece nel cuore nasce un ringraziamento incero al Signore per tutti gli anni che abbiamo potuto vivere lì, per tutto quello che abbiamo ricevuto dalla nostra gente, perché la missione non è mai a senso unico. E questo forse può anche aiutare tutti noi all’inizio di questo anno. Noi possiamo sempre amare, siamo sempre liberi di amare nel concreto con un piccolo gesto: offrire amicizia, solidarietà anche di fronte alle diversità piccole e grandi che incontriamo ogni giorno e in questo modo contribuire nel nostro piccolo alla pace e al dialogo. E noi crediamo, lo crediamo profondamente che attraverso questo amore concreto possiamo raggiungere Maria Teresa e Rinuccia anche in questo momento.

Ringrazio tutti voi per la preghiera che continuate a fare per loro, per tutta l’unità che sentiamo in questi giorni che davvero ci consola e ci aiuta a vivere questo momento.

 

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