IRAN: Vivo per raccontare

Pubblicato il 31-08-2009

di Redazione Sermig


Un giovane iraniano ci parla del suo Paese. Costretto a fuggire, sente il dovere di restare vicino a molti altri giovani che là continuano a lottare per la pace. 

intervista a cura della Redazione


Io sono Vahid e vengo dall’Azerbaijan, una delle trenta province dell’Iran. Nel mio Paese non ci sono molte libertà che in Italia si danno per scontate. È vietato parlare, ascoltare musica, leggere un libro nella lingua della propria etnia. Dei giovani sono stati uccisi dalla polizia per infrazioni del genere. Quando un ragazzo e una ragazza escono insieme, se la polizia li trova per strada li ferma chiedendo i documenti; se non sono sposati, li picchia, li carica in macchina e li porta via.
Se sei un ragazzo e porti i capelli lunghi, una T-shirt o un paio di scarpe bianche, tutte cose considerate troppo vistose, ti portano in un centro speciale. Se bevi una birra, ti danno trenta frustate e ti mettono in prigione sei mesi e un giorno; qualsiasi cosa che muove lo spirito e l’anima non è da utilizzare! È scritto nella legge.
Diversamente, se il governo vede che hai della droga ti fa una semplice multa; le droghe mettono fuori gioco e in fondo chi le usa non dà fastidio al governo. Invece chi fa uso di alcool si eccita, e potrebbe diventare pericoloso per il governo. Perciò l’alcool è fuori legge! Nel mio Paese se qualcuno vuole cambiare religione, viene interrato fino alla vita, e poi lapidato; ad un ragazzo musulmano che vuole uscire con una ragazza cristiana spetta la stessa morte. Può sembrare difficile credere che nel mio Paese accadano queste cose, ma capitano nella maggior parte delle province iraniane; in Azerbaijan la situazione è più delicata, perché questa provincia cerca la libertà e lotta contro il governo a favore della pace.
teheranstudenti.jpg
Teheran, manifestazione studentesca

Come vengono insegnate la storia e la geografia a scuola?
A scuola, fin da piccoli si studia quel che conviene ai governanti. Si parla di tutto il mondo, ma in modo più specifico di alcune parti, per esempio dei vicini Paesi musulmani, della Palestina… In qualsiasi caso, per principio, si danno tutte le ragioni, tutti i diritti solo ai musulmani.
I giovani però sanno che in altri Paesi del mondo c’è la libertà e hanno il desiderio di uscire dal proprio Paese. Attraverso internet, la televisione, il satellite vedono che fuori dall’Iran la situazione è diversa e di conseguenza dicono: “Anche noi vogliamo essere liberi e scegliere la nostra vita”.

Quante persone considerano giusta questa situazione e quante no?
Non si può dare una percentuale precisa. Circa il 70% non accetta questa situazione; sono sia persone povere che ricche, anche intellettuali. Il restante 30% è composto da sostenitori del governo. Comunque ogni settimana ci sono persone che vengono impiccate o sottoposte pubblicamente a gravi torture. Tutte le volte che noi protestiamo, loro usano il bastone, i fucili da caccia. Quando ci sono delle normali manifestazioni usano le armi per spaventare la gente.
Io sono fortunato perché sono riuscito ad uscire dall’Iran e posso portare la mia testimonianza; molti altri sono rimasti e sono morti.

Come mai ti è stato permesso di uscire dal Paese?
Io sono stato colpito durante una manifestazione a favore di un giornale persiano accusato di mettersi contro il governo. Ho perso la vista e sono rimasto undici giorni in coma; mentre ero ricoverato in ospedale ho rischiato di essere ucciso, perché ero un testimone pericolosissimo ancora in vita. Mi hanno lasciato uscire perché in vari siti internet iraniani che parlano di libertà era stata diffusa la notizia che c’era un sopravvissuto a quella manifestazione; se mi avessero ucciso, sarebbe stata un’azione rischiosa, dalle conseguenze imprevedibili.
Io dopo l’incidente mi sono finto come uno che non capisce niente, e così mi hanno lasciato in libertà, raccomandandomi di dire che il mio problema fisico era stato causato da un fucile da caccia accidentalmente esploso. Poi ho mandato i miei documenti in Italia per avere la possibilità di curare i miei occhi, per recuperare la vista. Ho chiesto di uscire dal Paese solo per cure mediche. Se dovessi ritornare non mi farebbero più uscire! Ora sento come un dovere raccontare cosa mi è successo, quello che mi hanno fatto!

Che cosa può aiutare il tuo Paese?
Credo che i giovani dovrebbero cominciare a muoversi: studiare, capire come era la situazione nel passato e come si è evoluta. Non è facile, perché il governo cerca sempre di mettere le varie etnie una contro l’altra.

IRAN
L’Iran è popolato da 66 milioni di abitanti di varie etnie: persiani (51%), azerbaigiani (24%), curdi (7%) e altre minoranze. La lingua ufficiale è il farsi o persiano. Gli iraniani sono quasi tutti musulmani sciiti. Nel 1979 una rivoluzione destituì l’allora sovrano filo-occidentale Reza Pahlavi e la guida spirituale Khomeini prese in mano le redini del Paese. Poco dopo un referendum fondò la repubblica islamica, avente nel Corano il fondamento di ogni sua legge politica, civile e religiosa. La repubblica si dimostrò subito antioccidentale, costruendo il suo potere sia attraverso la repressione violenta sia mediante la creazione di un consenso di stampo religioso. L’attuale presidente Ahmadinejad, sostenendo il diritto iraniano alla tecnologia nucleare, ha acceso un dibattito internazionale sul tema provocando dure reazioni da parte degli USA e dell’UE.
Non hai paura che possano raggiungerti qui?
Se avessi avuto paura non sarei neanche partito. Ci sono dei miei amici che quando escono per una protesta pubblica, salutano i loro genitori, mettendo in conto che potrebbero anche non tornare. Sento come un dovere raccontare questa storia. Non lo faccio per il governo, ma per la gente del mio Paese. Mentre noi qui stiamo parlando di amore, di unità e di pace, in Iran la pace fatica ad avanzare. Più provi a fare per la pace e più ti sovrasta un martello sempre più grande, più fai per smuovere le cose, più la botta che viene dall’alto è pesante! Noi dobbiamo continuare a dire le cose come stanno, ad andare avanti, perché tante persone stanno perdendo la vita. Qui i giovani hanno la libertà e mi spiace molto vedere che là non hanno il diritto di stare in pace.
Grazie per aver avuto fiducia in noi raccontandoci la tua storia.
Speriamo di arrivare ad un giorno in cui non ci saranno più frontiere e saremo tutti insieme! Vi chiedo solo un piacere: diffondete a più persone possibile le mie parole.
a cura della Redazione
da Nuovo Progetto novembre 07


Vedi anche:
IRAN: Lolita a Teheran

 

 

 

 

 

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok