KENYA: domenica a Korogocho

Pubblicato il 31-08-2009

di Redazione Sermig


Questo racconto, arrivato pochi giorni fa dagli slums di Nairobi, racconta l’altro Kenya, quello che continua ad arrabattarsi con la fatica del vivere, mentre la guerra rende tutto più precario


di Michela La Rosa

Sono appena rientrato dall'Italia e come al solito mi trovo al rifugio per i bambini a Kabiria e Riruta. È una domenica piena di sole ed ormai è ora di svegliarsi. Accendo il boiler per una doccia calda, scaldo il latte e preparo due fette di pane con la nutella. Anche qui a Nairobi la si può trovare facilmente.
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Vicino alla Scuola c'è un supermercato pieno di qualunque cosa. Mi fa sempre un certo effetto incontrare il mondo dei ricchi in Africa. Ormai i soldi sono una religione pure qui. Non importa più la propria cultura, non importa la propria storia, la propria Comunità, gli affetti attorno a noi. Conta solo essere ricchi, o perlomeno mostrarlo, o peggio ancora cercare di diventarlo ad ogni costo. Una giacca e una cravatta, una bella auto, un bel cellulare, meglio due e all'ultima moda, e poi via. Come se bastasse questa roba dei bianchi per toglierti dalla miseria. E mentre in questo paese che amo alla follia, un giovane su tre è malato di aids ed è senza cure, la classe dirigente pensa solo ad ingrassare e ad ostentare ricchezza, depredando tutto e costruendo nulla. Ma è da molto lontano che gli stregoni bianchi, maestri dell'individualismo, maledicono l'Africa. E non ho ancora trovato uno sciamano nero abbastanza potente per scacciare tutto questo male. Neppure ai piedi della mia Sacra Montagna, la Casa di Dio, c'è qualcuno che sappia come affrontarli. Troppo spesso ne diventano complici.

Guardo il cortile con il campo da basket e c'è soltanto Jimmy che gioca. Che spettacolo! Quando la sera dopo il lavoro rientro al rifugio dei bambini, lui viene sempre incontro al mio taxi, mi fa un sorrisone che ti scioglie il cuore e mi prende il computer, più grande di lui. Poi senza che io gli dica nulla lo trascina a fatica nella mia stanza e mi saluta saltandomi in braccio e chiedendo un sacco di coccole. Dio, ma lo vedi Jimmy quanto è buono?
Accendo la Radio e la musica inizia a chiamarmi... per nome... come sempre: "Che il mio spirito soffi su di te, che ti porti nel silenzio per ascoltarmi. Ti parlerò nel silenzio e sognando ti sveglierai. Se mi ascolterai io scenderò dal cielo e ad ogni tua preghiera io risponderò. Se la tristezza ti coprirà, io ti consolerò. Prega se scende la neve, prega con me, io sono il vento e la speranza e sono ovunque tu andrai. Se mi sognerai, tu mi vedrai. Non piangere, sorridi, io sono con te quando nevica, sognami, io ti consolerò. Tu mi manchi, io voglio il tuo amore, la tua Casa è con me, io sono nella tua ombra e dietro di te, perché il mio cuore è li, nel tuo petto, con te, il mio cuore è lì!".
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Dopo la colazione e la doccia, indosso il vestito della domenica: oggi si va a Messa. È una bellissima maglietta marroncina con stampati gli elefanti, dei disegni dorati sul collo e con due grandi tasche per il Vangelo e il lettore MP3. L'abito non fa l'Africano, ma il mio cuore diventa un pochino più semplice, povero e buono se lo indosso. Scendo in cortile e saluto Jimmy, oggi la strada è lunga. Devo attraversare Kabiria fino alla stazione dei matatu di Riruta, di fronte alla polizia e poi prendere un matatu (pulmino) fino al centro città e lì chiedere per Korogocho. Non mi piace pianificare troppo i miei viaggi. Si deve preparare tutto proprio all'ultimo momento. Se no lo Spirito come fa a parlarti? Se pianifichiamo tutto della nostra vita, l'amore di Dio non ci può raggiungere. Perché Dio ci vuole sempre con sè, liberi e con il cuore aperto in ascolto. Ha sempre tantissime cose da insegnarci. Sto per passare il cancello, quando incrocio tre ragazzini che vi stanno entrando. Non li conosco, non li ho mai visti da queste parti. Loro passano dentro di corsa, sembra che abbiano paura di me e non si fidano. Poi vanno dal piccolo Jimmy e gli chiedono in coro: "Hei! Com'è quel musungu (bianco)? È Buono?" e Jimmy con il suo solito sorrisone gli risponde: "Michele è mio amico, vi potete fidare!".

Così si avvicinano, mi prendono la mano e vengono con me per le strade di Kabiria e Riruta, la baraccopoli del rifugio. "Give me bread! Give me Bread!"... dammi del pane... continuano a ripetermi. Sono affamati e continuano a toccarsi lo stomaco. Chissà da quanti giorni non mangiano. Ho il cuore a pezzi. Ma come si fa? Dio, ma come puoi lasciarli affamati? Che senso ha tutto questo dolore, non vedi che sono così piccoli, cosa ti hanno fatto di male? Così mi avvicino ad uno delle centinaia di chioschi che vendono un po' di tutto in baraccopoli. Compro tre pani molto grandi, mezzo litro di latte per ognuno e del cioccolato. Glie li offro con tutto il cuore, con tutta l'anima, e quasi piangendo li accarezzo. Poi loro contenti del "bottino" mi salutano e corrono via, con il mio cuore tra il pane e il latte, che ondeggia e prega per loro! Prenditene cura, ti prego. Io ora non posso fare altro. Perdonami ti prego.

Arrivo presto a Korogocho e mi siedo in fondo alla Chiesa. La Parrocchia nella baraccopoli è costruita a fianco della discarica. Alla Sua destra. Come se i rifiuti della discarica fossero la Pietra, che scartata dal nostro mondo, viene qui per risorgere ogni Domenica nella gioia e nella fede della gente povera. Da essa riesce per miracolo a sopravvivere e a trovare ancora una nuova vita. Qui tante cose che da noi sembrano così importanti, scompaiono, coperte dalla luce della sofferenza di questa gente. Ed è per questo che qui ogni Domenica, Cattolici, Protestanti, Ortodossi, Anglicani, Mussulmani e Atei, si ritrovano in un momento di fortissima umanità, che di fronte a tutto questo cerca una guida, una speranza ed una parola di conforto per questa incolmabile ingiustizia. Ma la gioia esplode in mille danze e in mille canti. Qui, è la gente povera che con la Sua semplicità e la Sua fede benedicono il Pane e il Vino, nel vero amore di Gesù.
kenyachild.jpg È il momento dell'offertorio ed io mi avvicino alla persona che sostiene il piccolo sacchetto per le offerte. Come al solito do qualche monetina che mi avanza e che mi appesantisce il portafoglio. Dietro di me quasi nascosto nella mia ombra, c'è un ragazzino che avrà avuto quindici anni. È ricoperto di fango. Trascina un sacco enorme pieno di spazzatura da rivendere per fare qualche soldo e mangiare. Appoggia il sacco per terra e poi estrae una banconota, l'unica che aveva, dalla tasca e la regala alla Comunità. Poi come se nulla fosse, magari a digiuno da giorni, si siede tra gli ultimi banchi della Chiesa.
Subito lo seguo, devo capire chi è. Di certo un ragazzo così se è sostenuto può fare miracoli per il Suo paese. Altro che classe dirigente. Devo sapere chi è, poi tramite i Missionari di Korogocho gli pago gli studi.
Appena mi siedo di fianco a lui, si alza, sorride ed esce dalla Chiesa, trascinando fuori con se l'enorme sacco pieno della nostra immondizia. Ma chi sei, perché continui a cercarmi?
Subito uno dei due Missionari che non stava celebrando ed era lontano, corre all'altare, parla con l'altro Missionario ed insieme chiamano vicino ad esso tutti i presenti che sono malati. Formano un semicerchio e i due celebranti passano sui loro capi il pane e il vino, per guarirli. All'improvviso mi accorgo che al centro della Chiesa c'è una donna. È una dolcissima madre con in braccio un bambino piccolo, appena nato. Li guardo bene. La donna indossa un foulard azzurro che copre i capelli con dei piccoli simboli dorati ed un abito Africano tipico, quasi regale e di colore rosso con le frange dorate. Che tenerezza il bambino, anche lui avvolto in un panno rosso. Il Bambino piange in silenzio come un adulto, commosso. Una singola lacrima gli cade sul suo viso e piano piano scivola per la sua piccola guancia. Mi mostra le mani e su di esse ci sono due bruciature a forma di sole. Dio mio, sei proprio qui con noi per perdonarci. Sono i poveri che con la loro sofferenza pregano e pagano anche per noi, perdonando anche me? Dio mio che cosa dobbiamo fare?

Rientro al centro per bambini, e per tutto il viaggio, seduto in fondo sul matatu, la radio MP3 nel mio lettore risponde: "È l'Amore che ti fa tornare da me, fino al mio cuore. E adesso io sono di fronte a te. Tu devi perdonare! Ci puoi riuscire. È dalla pelle al mio cuore che dovete ritornare, senza fare del male. Senza riempire il mio amore di altre inutili parole. Tu mi capirai solo dal mio sguardo. Non piangere per me. È stato troppo bello incontrarti, tu sei il mio amore più dolce, e mi hai rubato l'Anima. Ecco la mia porta è aperta, contemplami: io sono sempre davanti a te, tutti i giorni della tua nuova vita!".
Michele La Rosa

Sul Kenya vedi anche:
DAL KENYA, uno sguardo sull’Africa
KENYA: violenze post-elettorali (altri link in calce)

 

 

 

 

 

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