LA SCUOLA CAMBIA

Pubblicato il 10-08-2011

di Matteo Spicuglia



Scuola e riforma nelle riflessioni di un dirigente scolastico. Intervista a tutto campo.

di Matteo Spicuglia


Ritorno del voto in condotta e dell'educazione civica, tagli agli sprechi e diminuzione delle cattedre… È una stagione di grandi cambiamenti per la scuola italiana, almeno secondo le intenzioni del ministro dell'Istruzione, Maria Stella Gelmini. "Quando la spesa per il personale assorbe il 96,98% del bilancio - spiega - significa che la scuola italiana rischia di non avere più gli strumenti per modernizzarsi".

I tagli annunciati, tuttavia, non convincono sindacati e opposizione. Ma quali sono realmente i problemi della scuola, al di là del confronto politico?
Cerchiamo di capirlo dall'interno, ascoltando Gianni Paciariello, docente per 20 anni in discipline economiche-giuridiche, oggi dirigente scolastico dell'Istituto Tecnico Agrario "G. Dalmasso" di Pianezza, in provincia di Torino.



La scuola di oggi riesce ad essere ancora al passo con i tempi?  
La scuola deve essere al passo con i tempi in modo intelligente. Non deve seguire le mode. Le discipline di base (ad esempio, italiano, storia, matematica, scienze,…) hanno contenuti costanti nel tempo, che devono essere appresi in modo approfondito da tutti gli studenti. Solo sul fondamento di una solida cultura di base è possibile innovare i contenuti disciplinari. E naturalmente quest'ultimo punto richiede un continuo aggiornamento da parte dei docenti.  

Questo avviene?  
Non sempre. In Italia erroneamente la preparazione didattica è prevalsa come importanza su quella disciplinare. In realtà sono due facce della stessa medaglia. E l'aggiornamento dei docenti non deve trascurare alcuno aspetto delle componenti della sua professionalità. 

È di moda il concetto di "fannullone" adattato a chi lavora nel settore pubblico. Anche nella scuola, ci sono casi di questo tipo. Mancano strumenti di valutazione? 
I fannulloni esistono in qualsiasi ambiente e quindi anche nell'ambito dell'istruzione. Naturalmente, data la delicatezza della funzione dell'insegnamento, i fannulloni in questo settore producono danni gravissimi. Gli strumenti valutativi sono difficili da applicare, ma non si tratta di un'operazione impossibile.  
 
Cosa si dovrebbe fare? 
I sindacati del settore dovrebbero essere più responsabili circa il delicato equilibrio tra i diritti dei lavoratori e i diritti dell'utenza, favorendo le misure disciplinari a carico di chi non compie il proprio dovere. Allo stesso tempo, la politica dovrebbe produrre normative in grado di allontanare celermente (e anche definitivamente) i soggetti che arrecano danno all'attività didattica. L'attuale normativa consente solo in linea teorica un'azione incisiva nei confronti dei "fannulloni". 
 
Di contro, come mettere al centro davvero la meritocrazia? 
Il concorso pubblico, nell'ambito della pubblica amministrazione, è l'unico strumento, anche se imperfetto, in grado di garantire imparzialità e selezione meritocratica. Pertanto la carriera dei docenti, dei dirigenti scolastici, del personale in genere deve essere suddivisa. Si può accedere a livelli di inquadramento contrattuale superiori solo superando concorsi o corso-concorsi. Occorre superare la storica tendenza del personale della scuola al livellamento.

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Parliamo di programmi. In una società che corre, la scuola non rischia di rimanere ferma? Come si può rispondere alla sfida dei nuovi linguaggi? 
La realtà è somma di fatti e di linguaggi. In entrambi i casi occorre che la scuola offra le possibilità per interagire nel mondo della comunicazione multimediale, con senso critico rispetto ai fatti che accadono. La formazione culturale deve consentire la riduzione cognitiva della complessità del mondo, e la capacità comunicativa attraverso tutti i possibili canali di comunicazione. In ogni caso i fatti e i linguaggi devono essere supportati da un sistema di valori, a partire dal rispetto e dalla tutela della persona. 
 
E delle differenze... Come accogliere, per esempio, la sfida del multiculturalismo?
L'immigrazione può essere una risorsa economica e culturale. La scuola deve essere il luogo di tutti e gli insegnanti devono essere pronti a favorire l'integrazione degli studenti stranieri. Ma il multiculturalismo non deve essere confuso con il relativismo culturale. Il multiculturalismo non deve indebolire la nostra identità culturale che si basa sui valori del cristianesimo e delle democrazie liberali. 
 
La scuola, insieme alla famiglia, viene considerata ancora una delle principali agenzie educative, ma non sempre è all'altezza. É in gioco la crisi di un modello oppure manca chiarezza nella proposta? 
La famiglia di oggi, nel bene e nel male, non è più quella di trent'anni fa. La società idem. Valori e costumi sono cambiati, il gruppo dei pari prevale in ambito educativo sulle tradizionali agenzie educative, i mass-media conformano gusti e comportamenti. La famiglia (ma quale tipo di famiglia?) ha abdicato alla sua funzione educativa, anche a causa di un approccio culturale e pedagogico che non ha più nel suo vocabolario parole come dovere, impegno, responsabilità, fatica, disciplina e autorità. È ovvio che la scuola non può sopperire e farsi carico di questa latenza, perché è in primis un luogo di formazione culturale e professionale.  
 
Che ruolo può avere? 
La scuola può e deve essere un luogo in cui sono pretesi comportamenti corretti. I professori non possono sostituire la funzione educativa dei genitori, dal momento che i ragazzi dovrebbero arrivare a scuola già educati. Per i più sfortunati si deve attivare la "comunità educante" nel suo complesso. Oggi, invece, si demanda tutto alla scuola. 
 
Una domanda personale. È difficile lavorare nella scuola di oggi?  
Chi è innamorato del proprio lavoro supera con entusiasmo le frustrazioni e le difficoltà. È da vent’anni che sono nella scuola. Avrei voluto essere un docente migliore, spero di essere nel futuro un buon dirigente scolastico. Ma non c'è mai stato un giorno in cui non avessi voglia di lavorare, e soprattutto sono sempre stato grato al Signore di avermi dato l'opportunità di lavorare per i giovani, il più grande patrimonio dell'umanità.


di Matteo Spicuglia
da Nuovo Progetto, ottobre 2008

 


PISA OCSE

Le nostre scuole preparano i giovani alle sfide del futuro? Li mettono in grado di analizzare, ragionare e comunicare? Di continuare ad apprendere nel corso della vita? Genitori, allievi, responsabili del sistema formativo e opinione pubblica hanno il diritto di saperlo.

PISA (Programme for International Student Assessment), un progetto decentralizzato dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici, anche OECD), risponde a queste domande mediante le proprie inchieste.
Misura ogni tre anni con l’ausilio di test le competenze dei 15enni, cioè coloro che sono prossimi alla fine dell’istruzione obbligatoria, nei principali Paesi industrializzati. Gli indicatori calcolati vengono messi in relazione con le caratteristiche dei sistemi formativi, delle scuole e degli allievi.
L'attenzione non si focalizza tanto sulla padronanza di determinati contenuti curricolari, quanto sulla misura in cui gli studenti sono in grado di utilizzare conoscenze e abilità apprese durante gli anni di scuola per affrontare e risolvere problemi e compiti che si incontrano nella vita quotidiana.
Il campione è costituito, in ogni Paese, da almeno 5.000 studenti di 15 anni estratto da un campione di almeno 150 scuole. Nel primo ciclo di PISA, svoltosi nel 2000, sono stati coinvolti nell'indagine circa 265.000 studenti di 32 Paesi.

Info: pisa.oecd.org

 

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