La testimonianza di Ingrid Betancourt

Pubblicato il 19-11-2010

di Redazione Sermig

 

È difficile parlare perché sono molti i sentimenti che mi attraversano, ma di una cosa sono sicura: io sento che questa è casa mia. Perché la casa non è solamente uno spazio fisico, è anzitutto uno spazio spirituale. Quando giro per il mondo incontro molta gente che la pensa come noi, però è molto bello incontrare un luogo pieno di gente che la pensa come noi. Nel mondo stanno accadendo cose molto importanti, e molta gente sta facendo cose importanti, ma io credo che la cosa più importante è quello che si sta facendo qui.

Credo che il futuro del mondo debba tendere ad un livello più alto di civiltà, e non c'è nulla di più alto che la pace. Perché la pace implica una trasformazione individuale e una collettiva, e queste due trasformazioni devono verificarsi simultaneamente. Ci sono Paesi nei quali le persone si trasformano individualmente, ma la società non cambia. Ci sono altri Paesi nei quali la società cambia e spinge verso la pace, ma ci sono persone che non hanno a cuore questo cambiamento e che bloccano questo processo.
Qui, in questa casa, c'è un "collettivo" che sta lavorando per la pace, c'è una trasformazione sia collettiva che individuale. Questo è un tesoro immenso.
Nel mio Paese c'è una trasformazione individuale, io la sento in Colombia, persone che poco per volta vedono i problemi del Paese in modo diverso; però non c'è una trasformazione collettiva.

Ci sono molte cose che vorrei condividere con voi, ma ce ne sono alcune che per me sono fondamentali. Mi viene chiesto spesso come si può passare anni in prigionia, soffrire così e non perdere la testa. Ci sono molte risposte, ognuno può dare una risposta diversa su questo tema. Molti miei compagni di prigionia, con i quali abbiamo vissuto la stessa situazione e condiviso la stessa esperienza, danno risposte diverse alla stessa domanda.

Ingrid Betancourt con Ernesto Olivero
Io la forza l'ho trovata nella mia relazione con Dio. Non ho detto "con Dio" perché Dio fosse sempre là; in realtà, infatti, io non ero sempre con Lui. Ho dovuto fare un cammino per comprendere prima di tutto chi era, per interessarmi a Lui, cercare di avere una comunicazione con Lui, cercare di vivere con Lui. È curioso il fatto che abbiamo molte occasioni di credere in Dio, ma occorre attendere che sia Lui a chiamarci, è un cammino che non si può fare da soli. Vedevo le persone attorno a me: eravamo tutti nella stessa situazione, ma io credevo e c'erano persone che non credevano affatto. Avevano percorso il cammino esattamente opposto: per me la sofferenza non poteva spiegarsi senza una speranza e questa speranza non poteva esistere che in Dio. Per loro era il contrario: per il fatto che erano là e vivevano ciò che stavano vivendo, non esisteva un Dio, perché Dio è giusto ed invece non era giusto che essi vivessero ciò. E dunque, non poteva esistere un Dio.

Vi dico questo perché penso di aver avuto molta fortuna. Penso che soffrire sia stata una grande "chance". È difficile per le persone capirlo, ma è così: la sofferenza è una grande opportunità.Perché noi esseri umani siamo fatti in modo che solo attraverso la sofferenza riusciamo a crescere. Quando penso ai miei figli, vorrei che soffrissero in fretta, che imparassero in fretta e che poi smettessero di soffrire. C'è bisogno di affrontare delle prove. La prova che io ho vissuto è stata una prova dura, non vorrei che altri la vivessero, ma io ringrazio il Signore di averla vissuta, perché non avrei mai pensato di poter fare il cammino che ho fatto se non avessi avuto l'opportunità di confrontarmi con gli estremi, miei e degli altri. So che nel quotidiano abbiamo tutti degli estremi, so che tutti voi nel quotidiano vi confrontate con molti dolori, di ogni genere. Dolori per le incomprensioni con le persone che amiamo, dolori per malattie, morti, separazioni, assenze, tutti abbiamo il nostro dolore. Ma bisogna dire che questo dolore che proviamo è una grande occasione per cambiare il nostro atteggiamento verso il mondo.

Entrando qui ho visto uno slogan molto bello che dice "La bontà è disarmante": è così vero! Ma la bontà, perché possa disarmare, bisogna trovarla in sé, bisogna lavorare dentro di sè questa bontà. Il processo per arrivarvi è un processo nel quale occorre sempre perdere qualche cosa, bisogna sempre diventare più "leggeri", alleggeriti da se stessi, alleggeriti dall'ego. Credo che la riflessione più importante di tutti questi anni che ho vissuto nella giungla sia che la grande trasformazione interiore e la grande trasformazione che possiamo aspettarci nel mondo dipende dalla nostra lotta accanita contro il nostro io. È il nostro io che fa male, il nostro io che ci impedisce di avanzare, di comunicare con gli altri in un modo positivo, il nostro io che porta alle guerre, ai crimini, alle uccisioni, alle sofferenze, alla crudeltà.

Ingrid Betancourt
Non vorrei però che pensaste che sono masochista. Io amo la gioia, la felicità, non amo certo soffrire. Ma penso che se arriviamo a dare un senso alla sofferenza e a disfarci delle cose che ci impediscono di crescere spiritualmente, possiamo cambiar direzione e rivolgerci verso gli altri. Quando si arriva a disfarsi da questa specie di concentrazione sull'io, sul "io sento, io soffro, io ho il diritto, e io ho bisogno di...", allora gli occhi guardano il mondo in altro modo e ci si interessa degli altri, della loro sofferenza, perché la si conosce, ci si interessa del silenzio degli altri perché si conosce il peso di questo silenzio. Si apprezzano cose che prima non si apprezzavano: un sorriso, una mano tesa, una parola di buongiorno o di arrivederci. Quando si diventa sensibili agli altri, allora si può mettere un altro mattone su questo muro della bontà e aiutare gli altri.

Credo che la pace sia avere questa capacità di rivolgerci verso gli altri e di comprendere che nella differenza dell'altro siamo in realtà tutti uguali, anche i più malvagi, anche i più crudeli, anche gli esseri più atroci. C'è sempre una speranza, c'è sempre uno spazio nel quale ci si può inserire, nel quale si può entrare in comunicazione. Ma per poter entrare in contatto con i più malvagi, i più atroci, i più crudeli, bisogna lasciar fuori il proprio io. E dunque non bisogna aver paura, non bisogna aver paura del rifiuto dell'altro, della reazione dell'altro. Bisogna sempre dirsi che anche quelli che pretendono di non ascoltare, di non vedere, di non sentire, in realtà ascoltano, vedono, sentono. E quando vedono che ci si avvicina senza essere pieni di sé, con molta, molta umiltà, una piccola finestra si apre e parlando si può entrare. 

Io credo nel potere delle parole, credo che occorra scegliere le parole, credo che le parole siano l'arma migliore per la pace. Noi siamo qui riuniti sotto l'egida della Fondazione Grinzane Cavour. Dirò una parola sull'importanza di questa Fondazione, perché io credo che i libri - parole che arrivano senza un ego perché li si legge da soli - aprano molte porte.
Ci sono molti libri da leggere, ma ce n'è uno che bisogna assolutamente leggere: la Bibbia. Lo dico così, con semplicità, perché penso sia un libro essenziale, che apre le porte. Racconto una storia affinché capiate ciò che voglio dire.

Ingrid Betancourt

Ero nella giungla, erano cinque anni che ero prigioniera e il governo colombiano diceva che non si poteva parlare con i terroristi, che la Costituzione colombiana proibisce di parlare con i terroristi, e non ci possono essere negoziazioni per liberare i prigionieri, che le FARC devono liberare i prigionieri in maniera unilaterale. Il problema era che io ero d'accordo con questa posizione quando fui sequestrata. Mi dicevo: non si può negoziare con persone che si comportano così. Poi mi trovai a pesare sulla bilancia le due cose: da una parte la mia vita nella giungla senza la mia famiglia, dall'altra la Costituzione. Come risolvere questa equazione?

C'è una storia che tutti avranno letto. La racconta Gesù. È la storia di un uomo che lungo il cammino viene assalito e si ritrova moribondo. Passa un sacerdote, lo vede e dice: "Sta morendo, ma io non posso aiutarlo perché la legge non lo permette. Io devo prestare il mio servizio di sacerdote e se lo tocco non posso più farlo". E se ne va. Passa un altro e dice: "Non posso aiutarlo, perché se lo tocco non posso assistere all'ufficio religioso, devo poi fare tutta la purificazione per aver toccato un moribondo impuro". E se ne va. Passa un samaritano, che ha la stessa legge degli altri due, ma quest'uomo vede il moribondo ed è l'unico a cui importa salvarlo. Se lo carica sul cavallo, lo porta in ospedale, paga il necessario e lo salva. Qual è la riflessione di Gesù? È che la vita umana è al di sopra della legge. Questo mi ha aiutato ad uscire dal mio dilemma.

Quando uno di noi intraprende questo stretto cammino, acquista una nuova prospettiva che gli dice come comportarsi secondo dei principi, dei valori che lo faranno crescere. Sono i principi che ci permettono di uscire dalle contraddizioni della ragione.

Un'altra storia interessante e anche simpatica è quella di Sansone e Dalila. Quello che è interessante di questa storia è che rispecchia il modo in cui trattiamo gli uni i difetti degli altri.   
Sansone non si accorge che è lui l'origine dei suoi problemi, che hanno sempre la stessa origine, la sua incapacità di controllarsi, il seguire sempre i propri istinti; ed è questo che lo rende cieco, prigioniero. Per questo gli capiteranno le disgrazie raccontate nella Bibbia.
Noi molte volte non ci rendiamo conto della causa di quello che ci sta succedendo, diamo sempre la colpa agli altri, ripetiamo che non è mai colpa nostra. Invece, la maggior parte delle volte è colpa nostra.

Ingrid Betancourt

Quindi occorre prima di ogni cosa entrare in comunicazione con la nostra parte spirituale, con Dio, perché solo attraverso la dimensione spirituale possiamo guardare le cose in altro modo e cambiare. Tutti dobbiamo cambiare. E il cambiamento all'inizio è una decisione della testa. Una decisione difficile, ma possibile, che vuole una disciplina spirituale. Quando uno continua a comportarsi nello stesso modo, compie gli stessi errori, quando si rende conto che sta continuando a sbagliare, ad essere intollerante, ad essere egoista, il rendersi conto di questo vuol dire avere un occhio critico, e grazie a questo occhio critico si può cambiare. Sembra impossibile, ci diciamo sempre: "Non sarò capace, questo è il mio modo di comportarmi". Ma la realtà è che siamo capaci di cambiare, siamo capaci di cambiare il modo in cui ci relazioniamo, agiamo, pensiamo. E credo che, se siamo capaci di cambiare noi stessi e il nostro mondo interno, siamo capaci di cambiare anche il mondo esterno, il mondo collettivo.

È stato bellissimo stare qui, vedere i vostri occhi che si incrociavano con i miei. Pregherò per voi perché so che voi pregherete per me.

Grazie.

Ingrid Betancourt

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