La voce degli aeroporti

Pubblicato il 26-11-2012

di Michelangelo Dotta

di Michelangelo Dotta - Lo spirito di ogni città si riflette in qualche modo nel suo aeroporto di riferimento, insieme propaggine estrema del filamento urbano per chi parte e depliant di immediata lettura per chi arriva. Da spazi essenziali e prettamente funzionali allo smistamento degli aeromobili, dei bagagli e dei passeggeri, con l’enorme impulso dell’aviazione civile, questi non-luoghi per definizione, si sono lentamente trasformati in una sorta di universo parallelo dove l’individuo/viaggiatore/turista viene inghiottito e proiettato in una dimensione particolare.

Se un attimo prima, chiuso in un taxi o sulla navetta shuttle, la sua esistenza correva sui binari della quotidiana esperienza, appena superata la porta girevole dell’aerostazione ecco sprigionarsi la sensazione di una strana libertà che immediatamente gli entra in circolo, lo inebria e lo alleggerisce delle angosce fino a farlo voltare con un sospiro verso quel vetro ricurvo che ormai lo separa dal mondo consueto che vede sì in trasparenza ma ora, per qualche strana alchimia, non sente più suo. Adesso che è pronto a partire, sembra non appartenergli più non lo sente ostile, ma semplicemente si accorge per un istante di poterne e volerne fare a meno.

Ora tutto e tutti si muovono su un tempo diverso, scandito e dominato dai led dei monitor che riportano orari di partenze e arrivi, ritardi, cancellazioni, cambi di imbarco e, su tutto, un continuo rincorrersi di cicalini e voci amplificate che si intrecciano, annunci a raffica, informazioni e variazioni di voli, esortazioni e avvisi urgenti che, nell’acustica precaria e ridondante dei grandi spazi, lentamente si trasformano in fastidioso rumore di fondo.

È la voce degli aeroporti, quell’interminabile cantilena che dal principio cerchi di seguire con attenzione per non rischiare di perdere l’aereo e che pian piano, già con il pensiero in volo verso la meta, perde di definizione e di senso, semplice intreccio di comunicazioni che cogli solo a brandelli con sporadici ritorni alla realtà.

D’altra parte seguire e decifrare ogni avviso è quasi impossibile, per semplice distrazione, sovrapposizione, distorsione degli impianti di diffusione, inconscio rifiuto; il viaggio che hai iniziato a vivere superata quella porta si è ormai impadronito dei tuoi pensieri per cullarli lontano dalla realtà. Negozi, vetrine, hostess ed equipaggi, trolley colorati in perpetua fibrillazione, vetrate a specchio e rombi lontani di potenti turbine che spingono al massimo dei giri in attesa del decollo, scorrono davanti ai tuoi occhi come un lungo pianosequenza mentre attendi con inquietudine la tua chiamata e l’apertura dell’imbarco.

A Barcellona no, nessun balzo in piedi al primo annuncio, nessuna coda scomposta per il controllo dei documenti, nessuna affannosa corsa verso il gate dopo l’ultima chiamata del desk ma totale silenzio, lontano e composto brusio e delicata musica di sottofondo interrotta di quando in quando con un avviso suadente: “Si invitano i signori passeggeri a prestare massima attenzione alle informazioni riportate sui monitor perché non vi sarà altro genere di annuncio”. Magia, il sogno finalmente immerso in un provvidenziale silenzio, il pianosequenza continua a scorrere… ma è diventato un bellissimo film muto. Magnifica Barcellona, profondamente mediterranea nel calore della vita che la anima giorno e notte, ma sorprendentemente organica, innovativa e funzionale… proprio come il suo aeroporto che ti accoglie.

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