LETTERA APERTA

Pubblicato il 31-08-2009

di Redazione Sermig


… a tutti gli uomini e le donne di buona volontà.

 

di Ernesto Olivero 


Mi sono trovato tra le mani un volantino del Collettivo universitario autonomo distribuito davanti all’Università di Torino dal titolo: “IL PAPA NON ENTRA - FESTA ALLA SAPIENZA”. Fra le altre frasi, leggo: “La Chiesa continua ad essere nemica delle donne, dei giovani, di chi vuole praticare scelte libere e autonome, e non brucia più nessuno sui roghi soltanto perché, nei secoli, i movimenti sociali e gli stati nazionali laici ne hanno ridotto notevolmente – anche con le cannonate – il potere politico, che resta tuttavia asfissiante e contro il quale è ancora molto importante mettere in campo pratiche politiche, scientifiche e culturali dei resistenza”.
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foto Agensir

Mi sento chiamato in causa dato che sono parte di questa Chiesa, ma non voglio unirmi ai cori di “vergogna” e ai cori di condanna che da tante parti, laiche e cattoliche, si sono levati. Voglio fare una riflessione. Quando penso alla Chiesa penso alla frase che, anni fa, ci regalò don Michele Do: “La Chiesa non è una struttura da aggiornare, ma una presenza a cui convertirci, quella di Cristo”. Noi cristiani per essere credibili, per poter rendere conto della speranza che ci anima, dobbiamo fare un’opera di conversione continua, instancabile, togliendo dalle nostre parole e dalle nostre azioni ogni velo di ipocrisia, ogni zona buia e predicatoria; non siamo meglio degli altri solo perché siamo cristiani, siamo in cammino con il nostro bagaglio di umanità e di sbagli. Non siamo noi a possedere la Verità, è la Verità che ci possiede, perché siamo creature, siamo tralci piantati nella vite che è Cristo; Lui sì è la Via, la Verità e la Vita.

C’è un mondo di uomini e donne che reclamano il diritto di fare quello che pare loro con il proprio corpo, con la propria testa e vogliono essere sempre, comunque benedetti e approvati. Non desidero qui fare una riflessione su cosa è accaduto 50, 100, 300 o più anni fa, non intendo rivangare il passato alla ricerca di torti e di ragioni. Mi basta quello che vedo e sento intorno a me: vedo che quando l’uomo, la donna mette al centro della vita il proprio io, il proprio interesse, il proprio quartiere, la propria città, la propria nazione, la propria razza, e li fa diventare ideologia, è un disastro.

Un punto fisso nella mia vita è sempre stato quello di non classificare le persone in credenti e non credenti, ma in donne e uomini di buona volontà e donne e uomini di non buona volontà. Credo che “non rubare” valga per tutti; credo che “non dire falsa testimonianza” valga per tutti e così non tradire, mantenere la parola data… e potrei continuare. A me non interessa essere identificato come uno che crede o non crede. La mia fede non è astratta, è calata nei problemi di ogni giorno, si confronta a tutto campo con le tragedie del mio tempo, è aperta all’incontro, al dialogo, all’amicizia, lavora per la pace, lotta contro le ingiustizie e contro la fame.

La mia fede usa la ragione, anche perché continuamente il “Bene” mi rimanda ad un bene che è come un rivolo di acqua fresca nel grande fiume della storia, un bene che si fa gli affari degli altri e non i propri, un bene fatto bene, con metodo, amato e pensato, che si commuove come il buon samaritano sulla strada di Gerico, e poi subito si dà da fare, mette in piedi risposte convinte e convincenti.

Quale è questa ragione? Faccio un esempio. A me sembra ovvio che quando il seme entra nell’utero di una donna fertile, da lì nasca una vita. Nella mia semplicità non ho elementi per capire se quel seme è già vita fin dal primo istante, ma mi sento di mettere non una, ma tutte e due le mani sul fuoco per dire che da quel seme, se lo lasciamo crescere in pace, dopo nove mesi nascerà un bambino, una bambina. Per tanti non è così! Per loro – come scrive il volantino del Collettivo universitario autonomo - la Chiesa “pretende di essere depositaria di una verità assoluta e insindacabile, come mostrano i continui attacchi del Pontefice al diritto all’aborto, alla pratica del divorzio, alle relazioni omosessuali, all’uso degli anticoncezionali, alla ricerca scientifica e medica sulle cellule staminali (embrionali – n.d.r.) e alla procreazione assistita”.

Da parte mia sono convinto che la donna che sceglie di abortire può espellere il feto dal suo ventre, ma non lo potrà espellere dalla sua testa. C’è chi abortisce a gravidanza inoltrata e mi dicono che il feto quando viene tolto dalla sua casa è ancora vivo, palpita. Senza dimenticare chi è costretto ad abortire; in alcuni Paesi, come la Cina l’India la Corea del Nord, l’aborto è da tempo una pratica eugenetica, serve a selezionare il sesso e il numero dei nascituri, a farli nascere solo se privi di difetti. L’agenzia cattolica di informazione Asianews.it riporta dati impressionati e casi raccapriccianti. In India negli ultimi 20 anni la pratica dell’aborto selettivo ha portato all’eliminazione di almeno 20 milioni di feti femminili.

A me sembra naturale che l’uomo abbia bisogno di tante cose: lavoro, casa, istruzione,… ma ha ancora più bisogno di scoprire il senso della vita, da dove veniamo, dove andiamo. Come si fa a scoprire il senso della vita? Scomunicandoci a vicenda? Penso di no. Dovremmo essere tutti convinti che “la società ha già dato”, perché tutti (di ogni parte politica o religiosa) ne abbiamo già viste e fatte di tutti i colori, nei tempi passati e forse anche in tempi recenti. Abbiamo ospitato un ragazzo che arriva da un Paese dove gli studenti non possono manifestare. La polizia gli ha sparato in faccia. È cieco, ha vent’anni; una storia, la sua, che dovrebbe farci riflettere.

Sono convinto che il cristiano, quello che ha incontrato veramente Gesù Cristo, diventa l’uomo delle beatitudini perché vive, pur con fatica, la mitezza, la povertà, la pace, la purezza di cuore.
Oggi chi è capace, chi ha l’autorevolezza di dire ai ragazzi del collettivo: fermiamoci? Chi è capace di dire ai giovani che vanno in chiesa (e sono ancora tanti) che Gesù è amore e ci giudicherà sull’amore - che non è pregare, sorridere e lasciare le cose così come stanno, ma farsi uno con il carcerato, con l’ammalato, è spartirsi ogni giorno con chi è affamato, con chi è nell’angoscia?
Credo che questo giudizio toccherà ogni uomo, ogni donna, credenti o non credenti, perché anche per chi non crede dovrebbe essere naturale non uccidere e aiutare il prossimo.

Vorrei che chi si dice cristiano si confrontasse con la parola di Gesù: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e vi ristorerò”. Gesù, che è il Figlio di Dio, nel “tutti” racchiude proprio tutti, credenti e non credenti. Alla fine saremo giudicati sull’amore, per l’ammalato, per il carcerato, per lo straniero… Questa parola vale per tutti, credenti e non credenti. Se non amo l’altro, mi condanno da solo. Sono io a scegliere: la condanna o l’amore.

Ernesto Olivero

 

 

 

 

 

 

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