L’UOMOSEDIA

Pubblicato il 23-08-2011

di Redazione Sermig


Sovente chi occupa una sedia importante diventa un tutt’uno con essa al punto da perdere l’anima, perché le sedie non hanno un’anima.

di Ernesto Olivero

 

La verità! C’è ancora qualcuno a cui interessa la verità? “La verità mi fa male” recita il testo di una canzone di qualche anno fa. Certo, la verità fa male quando chi crede di averla trovata se la tiene in tasca, si meraviglia se gli altri non vedono quello che lui ha già in tasca e la impone loro.
poltronanima.jpg

C’è chi strumentalizza la verità per diventare ricco, parlamentare o giudice, per raggiungere una posizione importante nella Chiesa o in altre religioni. Questo traguardo diventa la sua sedia, la sua ricchezza, il suo clan, la sua corrente, il suo partito. L’istinto gli suggerisce che così facendo si garantisce un potere, una ricchezza, un superstipendio, la macchina blu, vari privilegi da non mollare a nessun costo.

Allora per la verità è il fine corsa. Ridotta a questi miseri termini, diventa uno scudo per difendersi da quelli che vogliono il suo stesso stipendio, il suo posto nel partito. A pensarci bene, il voler conservare ad ogni costo la propria sedia per ingannare gli altri conferma che non c’è niente di nuovo sotto il sole. Invece il sole vuole illuminare con luce nuova ogni cosa.

Per capire la portata del problema, immaginiamo di diventare presidenti della repubblica, sindaci, preti, quella persona che critichiamo, e proviamo a chiederci: “Se occupassi quel posto, mi comporterei diversamente?”. L’esperienza insegna che tanti fra quelli che arrivano ad occupare posizioni prestigiose, poi tradiscono le aspettative.

A me pare che quelli che hanno l’ambizione di fare carriera, specialmente fra i cristiani, si dimentichino una frase di Gesù: “Chi vuol essere primo - quindi Gesù vuole che io diventi un numero uno - sia il servo di tutti”. Quando uno raggiunge una carica, una posizione, un posto di responsabilità e non è servo di tutti, diventa empio.

Un esempio aiuta a capire: in genere abbiniamo le cariche importanti a una sedia. C’è la sedia da sindaco, quella da cardinale… Ma sovente chi la occupa diventa un tutt’uno con essa al punto da perdere l’anima, perché le sedie non hanno un’anima. L’anima gliela do io se divento servo, se quella sedia la uso per mettermi sul serio a servizio degli altri nella mia città, nella mia famiglia, nel posto di lavoro o di studio. Allora io sindaco, io vescovo andrò ad abitare lì, nel cuore del problema, per condividere gli stessi disagi della gente, per incoraggiare, per trovare insieme risposte adeguate.

Dobbiamo scoprire la bellezza degli altri. Chi sogna in modo pulito di realizzare qualcosa di grande, chi vuole diventare qualcuno, non importa se da prete, da artista, da politico, da intellettuale o da imprenditore, corre il rischio di cedere alla tentazione del potere, del successo, del tornaconto. Guai a pensare che queste tentazioni non ci riguardano.

Io continuo a sognare il potere vissuto come servizio, come gratuità. Sono convinto di non essere controcorrente. Dice la Bibbia: “Quando dominano i giusti, il popolo gioisce, quando governano gli empi, il popolo geme” (Pr 29,2).

Dello stesso autore:
L’amore vero
ABRUZZO: il terremoto dall’interno di una tenda
L’umiltà che costruisce
VALORI: un pensiero forte (intervista)

 

 

 

 

 

 

 

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok