Mossi dallo Spirito: Fratel Silvestro Pia

Pubblicato il 31-08-2009

di Redazione Sermig


Dalle Langhe alla savana del Burkina: un salto di migliaia di chilometri, compiuto per amore di Dio, dei fratelli e di quella terra lontana e desertica…

a cura della redazione

Fratel Silvestro, dei fratelli della Sacra Famiglia, nacque a Santo Stefano Belbo (CN) nel 1920. Nel 1958 fu il primo missionario della Congregazione in terra africana, dove, nel ’66, fondò a Goundi (Burkina Faso) il Centro di formazione agricola “Laafi Ziiga” (centro della Pace). Fu uno dei primi missionari venuti a contatto col Sermig.

Dalle Langhe all’Africa, un salto di migliaia di chilometri, compiuto per amore, solo per amore. Di Dio, del fratello, di quella terra desertica. La fatica è stata tanta, quasi disumana, per tanti, tanti anni - si è spento il 29 gennaio 2003 - ma alla fine lo hanno ripagato tutti: Dio che l’ha preso nel suo Regno, i poveri aiutati che lo porteranno per sempre nel cuore, la terra che biblicamente è fiorita, producendo addirittura la vite!

Lo ricordiamo con le parole semplici di una delle tante lettere scambiate con lui e con quelle di un suo confratello, tracce preziose di una comunione vissuta e che continuerà nel tempo.

Carissimo fratel Silvestro,
scusa il nostro ritardo. Abbiamo deciso di consegnarti L. 10.000.000, quale contributo per la tua iniziativa di recupero dei carcerati. Da fratel Albino abbiamo saputo che l’opera di costruzione è già iniziata (…).
Come forse saprai, stiamo costruendo anche noi: costruiamo una chiesa nuova dentro l’Arsenale. Ci stanno lavorando profughi zairesi, ex carcerati, ex studenti senza mete nel campo del lavoro.
Un cardinale, un frate, una suora sono venuti a pregare mentre il muratore alzava i muri sulla spalliera e l’elettricista bloccava i morsetti nella scatola di derivazione. All’ingresso, metteremo una Madonna, perché è Lei ora la Madre dell’Arsenale.
Un saluto da tutta la comunità e un grazie al Signore perché in te ha dato tanta speranza all’umanità.

Rinaldo Canalis, Comunità Sermig
Torino, 15 luglio 1986


Mani spesse da contadino

Fratel Silvestro è un santo dei nostri tempi. Quando l’ho conosciuto ero ragazzino, era il 16 ottobre del ’52 alle 15. Ricordo ancora quest’incontro: entravo in quello che si chiamava piccolo seminario e da allora mi è sempre stato molto vicino. Fin dall’inizio ho notato la sua attenzione per gli altri, per chi aveva bisogno di qualche cosa. Un esempio molto semplice: noi studenti il giovedì e il sabato eravamo impegnati in vari lavori, se lui si accorgeva che alla fine ero stanco - fin da bambino ho avuto poca salute - mi chiamava da parte e diceva: “Prendi questo pezzo di cioccolata che ti fa bene e ti tira su”. Non faceva così solo con me, ma con tutti.

 Lui è partito il 4 ottobre del ’58 per il Burkina Faso - ex Alto Volta - dove la stessa apertura della nostra missione è stata una provvidenza: noi non siamo un istituto missionario, siamo una congregazione laicale, ma dietro l’insistenza dei vescovi accettammo di partire. Ci avevano offerto un grosso collegio in Costa d’Avorio, ma il vescovo di Koudougou ci fece una nuova proposta: “Perché non venite un po’ più in alto? Là c’è più miseria, venite a vedere”. Trovammo una piccola congregazione che stava scomparendo: 11 fratelli della Sacra Famiglia trapiantati dalla Francia, patria di un ex allievo, il primo vescovo di Koudougou. Rientrato in Italia, Silvestro pose sul piatto le due situazioni e i superiori scelsero l’Alto Volta, per due motivi: per aiutare questi fratelli e perché il Paese era davvero in una situazione di grande povertà.

La scelta di allora è stata veramente provvidenziale perché noi oggi (questa testimonianza è stata scritta nel 2003 - n.d.r.) contiamo più di 70 confratelli in Niger e praticamente tutte le nostre missioni in Burkina sono portate avanti dai locali.

Installatosi a Goundi nel ’66, Silvestro rimase sempre lì, e cominciò a raccogliere i ragazzi abbandonati. Introdusse l’orticoltura e - da buon contadino piemontese di S. Stefano Belbo - anche la coltivazione della vite, faceva due raccolti l’anno non per fare il vino ma perché il frutto era molto ricco di vitamine e come tale era molto importante per l’alimentazione dei ragazzi. Un giorno arrivò da lui un ragazzo disabile e lui lo interpretò come un segno: “Il Signore vuole che mi occupi anche di loro”. “Quando vuole qualche cosa, il Signore sceglie gente da poco, priva di ogni mezzo. È il mio caso”. È arrivato ad averne fino a una ventina in casa, ha insegnato loro a tessere con telai molto semplici, a lavorare il legno ecc. insomma, li ha preparati per affrontare la vita ed essere poi autonomi. Era impressionante, quando si andava a trovarlo, vedere il modo in cui sapeva andare incontro a tutti, e quando aveva praticamente niente da dare dava quel poco, però io credo che il dono più grande era la luce e l’amore che trasmetteva. L’amore a Cristo in modo particolare.

E anche sul Cristo c’è una storia molto bella. Nella nostra casa di Chieri (To) avevamo un grande crocefisso, che nel secolo scorso era sull’altare del Duomo. Questo crocefisso era ormai molto rovinato e lui disse: “Lo porto io in Africa”. Gliel’abbiamo imballato e lui se l’è portato giù. Un crocefisso molto alto e pesante; sciaguratamente fu l’unica volta in cui il diavolo ci mise lo zampino per non lasciarci arrivare i container: una volta scaricati in dogana rimasero lì per 3 mesi e vennero svuotati quasi tutti i cassoni, ma il crocefisso infine arrivò da fratel Silvestro.

Venne riparato e poi portato in processione con tutti i suoi giovani. Il luogo in cui venne sistemato è diventato meta di pellegrinaggio, tantissima gente vi passa la notte in preghiera. Personalmente sono convinto che fratel Silvestro parlasse con quel crocefisso, è impossibile dire certi pensieri se non ti sono rivelati da Chi ne sa più di noi. Nella sua camera non aveva che un lettuccio nell’angolo e basta e poi vi teneva le cose che gli servivano per gli altri, soprattutto medicine. Addirittura quando uno dei suoi ragazzi non stava bene di notte glielo portavano in camera, lui dormiva per terra e il malato nel suo letto. Questa era una sua abitudine.

Al mattino sveglia alle quattro e poi davanti al Cristo fino alle sei, tutti i giorni. Poi svegliava i suoi ragazzi, andavano a messa e al ritorno i ragazzi andavano negli orti e iniziavano così la giornata. La povertà era gravissima, soprattutto per gli anziani, mentre molta gioventù andava in Costa d’Avorio a lavorare. Ha passato la vita a servire gli altri, non c’è mai stato verso di regalargli qualcosa che abbia tenuto per sé: gli davi una maglia, una camicia e il giorno dopo la vedevi magari per la strada addosso ad un ragazzo. Io gli portavo giù gli amaretti e ricordo che gli dicevo: "Mangiali tu che ti fanno bene". Ma anche in questo caso, il primo gruppetto che passava lui glieli offriva. Era il suo stile. Quattro anni fa l’avevamo fatto rientrare, era gravemente malato, e dopo 2 mesi di ospedale al Cottolengo di Torino gli avevano pronosticato tre mesi di vita al massimo.

Il primario era assolutamente contrario che lo portassimo via, ma lui voleva tornare in Burkina, a morire nella sua missione. Là ha vissuto ancora quattro anni, lavorando da mattina a sera. Ogni sera si ritirava che era veramente sfinito, consumato, ed è finito così.

Negli ultimi giorni della sua vita, c’era, in modo particolare, il problema degli orfani: con la guerra della Costa d’Avorio tantissimi orfani sono rientrati e lui, dall’ospedale, è riuscito ad organizzare, pagando dei camionisti, il loro ritorno in patria attraverso il Ghana o il Togo. Dopo la sua morte, un giovane che era stato accolto presso il suo centro, ha fatto un dipinto: “Io Silvestro lo vedo così, l’ho visto così”. Vi si intravede un uomo crocifisso, ma dalle spalle in su tutto il corpo scompare ed emana luce. Emana solo luce. Per me Silvestro era così, un uomo in croce che dava amore.

Termino con le parole di una giornalista italiana che aveva preparato un video sul suo centro per conto della CEI: “Mi avevano sconsigliato di andare a filmare quel centro perché anche troppo conosciuto, ma quei due giorni che ho passato laggiù sono stati i più belli della mia vita. Ho incontrato un povero uomo nella savana, un povero uomo che vuol essere seppellito sotto un albero, un povero uomo di cui Cristo ha voluto servirsi. Un vecchio di 74 anni dal viso rugoso, le mani spesse da contadino, il corpo abbronzato e ruvido, lo sguardo lucido dei visionari e dei santi”.

ricordo di un confratello

 

 

 

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