Parliamo cristiano!

Pubblicato il 31-08-2009

di Redazione Sermig


Se oggi un anonimo dovesse parlare di noi cristiani, cosa direbbe?

di Ernesto Olivero


C’è una famosa lettera antica di un anonimo che spiega chi erano i cristiani. Per essere credibili noi cristiani di oggi dovremmo riuscire a confrontarci con il vangelo e capire se ci stiamo nel vangelo, se ci stiamo nell’incontro con Gesù che, prima di tutto, è grande misericordia, ma è anche fonte di grande chiarezza. Gesù ha messo le beatitudini come cammino che ci conduce fino a lui: beati i puri di cuore, beati i poveri, beati gli afflitti… Questa è la linea, ma sovente noi ci costruiamo una religione fai da te, ognuno va dietro al proprio istinto e poi ci lamentiamo che le cose vanno male, che non c’è la pace nel mondo.
Credo che noi dobbiamo reimparare a parlare cristiano. E se parliamo cristiano, la gente dirà di noi oggi le stesse cose che si dicevano dei cristiani al tempo della lettera a Diogneto. Mille e mille situazioni ci hanno portato lentamente fuori pista. Oggi ognuno di noi deve reimparare a parlare e a comportarsi da cristiano: il cristiano non si vendica, il cristiano non porta rancore, il cristiano non abortisce, il cristiano non diventa ricco, ma condivide. Però oggi a poco a poco siamo arrivati a convincerci che il modello sia diventare ricchi, fregare, non pagare le tasse, violentare, usare i bambini e magari pur comportandoci così pensiamo comunque di essere cristiani. giovanip.jpg

Sono convinto che i principali responsabili dei guai del mondo siamo noi cristiani, perché dovremmo essere noi il sale che da sapore al mondo, ma se il sale perde il sapore, il mondo cosa farà? Immaginiamo di essere una grande scuola di alpinismo che insegna a scalare l’Everest: la gente si aspetterebbe - da noi che abbiamo la divisa da scalatori cucita addosso - che siamo almeno capaci di scalare. Questa metafora ci aiuta a capire che se ci professiamo cristiani di fronte al mondo la gente può a buon diritto pretendere che assomigliano a Gesù. Ognuno di noi dovrebbe poter dire: che fatica, ma voglio assomigliare a Gesù. E la linea di condotta sono le beatitudini.

Ogni volta che ci incontriamo per pregare o per riflettere facciamo la restituzione. Non importa se siamo solo in dieci perché è ferragosto o se siamo in centomila come quella volta del primo appuntamento mondiale dei Giovani della Pace in piazza San Carlo. Pochi o tanti, per ognuno di noi la restituzione è un’esigenza di amore, perché i problemi del mondo mi interessano, perché la fame nel mondo interessa proprio a me.

LETTERA A DIOGNETO

Il mistero cristiano
V. 1. I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. 2. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. 3. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. 4. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. 5. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. 6. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. 7. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. 8. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. 9. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo.
10. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. 11. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. 12. Non sono conosciuti, e vengono condannati. Sono uccisi, e riprendono a vivere. 13. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano. 14. Sono disprezzati, e nei disprezzi hanno gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti. 15. Sono ingiuriati e benedicono; sono maltrattati ed onorano. 16. Facendo del bene vengono puniti come malfattori; condannati gioiscono come se ricevessero la vita. 17. Dai giudei sono combattuti come stranieri, e dai greci perseguitati, e coloro che li odiano non saprebbero dire il motivo dell'odio.

Vedo un disabile? È mio fratello, e allora lo metto in condizione di poter fare tutte le cose che faccio io, per esempio entrare in un edificio senza avere l’ostacolo dei gradini. Il sacchetto della restituzione che passa tra le nostre mani -dove non mettiamo solo dei soldi che potremmo anche non avere, ma il desiderio di condividere con gli altri la nostra vita - può essere, è la nostra rivoluzione culturale. 

Non è una cosa da poco! Se io che faccio la restituzione perché ci credo, perché sono convinto che devo “farmi gli affari degli altri”, fossi eletto in un qualsiasi schieramento politico, di destra, di centro o di sinistra, entrerei subito nella logica di non prendere mai tangenti, di non promuovere interessi di parte, mi sentirei impegnato ad agire per il bene comune. Se io fossi un operaio che sta per essere eletto, mi sentirei di dichiarare ai miei compagni: una volta in carica terrò per me solo l’equivalente di uno stipendio da operaio, il resto lo affiderò ai sindacati perché lo diano agli operai disoccupati.

Questa è la nostra rivoluzione, questo noi facciamo sul serio e ogni giorno ci diamo delle motivazioni nella preghiera, perché da soli, senza l’aiuto della preghiera e della grazia, corriamo il rischio di comportarci come i tanti che arraffano invece di dare, che sono di “plastica” perché fanno finta.

La restituzione è il nostro specchio. Tutto ciò che è creato mi interessa, perché io faccio parte del creato. Il mondo intorno a noi è pieno di “plastica”, è pieno di persone che odiano e sono indifferenti, ma Dio mi ha dato vita perché potessi portare le sue idee, i suoi valori per poter essere felici. Noi desideriamo essere felici, ma sappiamo che essere felici noi significa far felici gli altri. Intanto facciamo felici gli altri, poi sicuramente avremo il centuplo.
di Ernesto Olivero

 

 

 

 

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