Quando la vita è il terremoto...

Pubblicato il 17-11-2011

di Redazione Sermig

Il racconto di un medico volontario che all’Aquila incontra le conseguenze del terremoto nelle macerie, ma soprattutto negli stati d’animo e nelle attese delle persone coinvolte.

di Alberto Testa

Poteva forse un medico, volontario del Sermig, non partire subito per l'Ospedale da campo dell'Aquila quando gli è stato chiesto: “Partiresti domani? Dovresti dirmelo entro un'ora?”. No, non poteva. Problemi in famiglia? Inevitabili, ma si spera risolvibili.

Il giorno dopo mi sono ritrovato sul treno con Claudia, successivamente con Roberta della Pediatria d’Urgenza dell'Ospedale Infantile Regina Margherita e con Rosario, infermiere professionale, inviati all’Aquila a sostituire l'attività del Pronto soccorso dei colleghi aquilani, in questo periodo frastornati dagli eventi. L’ospedale del capoluogo completamente inagibile, tutte le unità e le attività trasferite in tende allestite in un prato di fronte all'ospedale.

Non abbiamo vissuto il drammatico periodo dei primi giorni, ma quello immediatamente successivo della vita che deve continuare di fronte ai trecento amici o parenti o conoscenti alla lontana che non ci sono più. In una città che conta poco più di 70 mila abitanti quasi tutti hanno un nome o un volto da ricordare.
Ed eccoci così arrivati in una città svuotata che deve ripartire. Entrando in città non è possibile accedere alle zone in cui il sisma ha avuto un effetto disastroso. Per sicurezza e riservatezza la protezione civile mantiene a distanza dalle case distrutte o pericolanti. Intravediamo da lontano rovine e macerie, immagini che già conosciamo attraverso i media.

In un primo momento, apparentemente il movimento delle persone e dei mezzi sembra quello di una vita normale. Poi la percezione cambia, emergono i dettagli delle case che portano i segni dell'evento: un muro caduto, una finestra distrutta, una crepa che percorre la facciata, porte lasciate spalancate, una parete divelta e lo sguardo aperto su momenti di vita quotidiana d'improvviso interrotti e fermati nel tempo. Vestiti ancora stesi, ad aspettare qualcuno. Le case vuote, espressione di una intera città evacuata, saranno il mio ricordo indelebile. Certo, il terremoto in una casa su due non ha prodotto alcun effetto, ma questo sarà la Protezione civile a stabilirlo, dopo. Ora è il tempo degli accertamenti, dei rilievi, delle sicurezze e soprattutto del conforto. Le diverse espressioni del dramma convivono: c’è chi ha vissuto una immane tragedia, chi ne è sfuggito, chi ha subito un danno alla casa, chi solo alle cose, chi è stato fortunato e non ha avuto danni.

I medici volontari dell'opsedale pediatrico di TorinoTutti comunque sono fuori casa, dislocati sul territorio, nelle tende dei campi prontamente allestite dalla protezione civile, nelle case e alberghi dei comuni limitrofi. Per tutti la domanda comune riguarda prima i familiari e poi la casa.
Così ci siamo ritrovati in una tenda a cercare di mantenere una attività di Pronto Soccorso Pediatrico, con un tempo inclemente che nei giorni della nostra permanenza è stato di freddo e di pioggia.
In fase iniziale il problema è l'organizzazione dei container e delle tende, con stoccaggio di farmaci, strumentazioni, generi alimentari, vestiario... E' vero peraltro che mezzi e sostegni aumentano nei giorni seguenti, la solidarietà quando si muove è sempre grande. Il problema è cercare di finalizzarla e ottimizzarla per le esigenze specifiche.

Ci rendiamo conto che superati i primi giorni ricevere oggetti o beni di consumo talvolta rischia di intasare i servizi. Sarebbe meglio avere più disponibilità economiche per l'acquisto finalizzato di generi necessari. Ma come sempre quello che sarebbe più semplice, è più difficile. Poi il vero problema sarà la ricostruzione, e visto che il 50% delle case è inagibile non sarà semplice provvedere alle necessità di migliaia di persone che passeranno i prossimi mesi nelle tende.
Quali i disagi più importanti della vita da campo in tenda? I servizi igienici, che, per quanto attrezzati e ben gestiti, dove sono presenti centinaia o migliaia di persone - 4.500 solo nel campo di Piazza d'armi - non si conciliano certo con le nostre abitudini quotidiane, in particolare se in famiglia ci sono anziani o persone disabili. E la gestione del vestiario.

I problemi sanitari riscontrati sono quelli di normale pronto soccorso, ma la gestione in tenda dei parti, dei neonati e dei lattanti critici ci induce a trasferirli presso ospedali distanti circa 70 km dall'Aquila. L'attività della medicina generale procede peraltro senza sosta con i ricoveri in grandi tende opportunamente attrezzate.

Ma per tutti comunque resta la paura. È l'invisibile filo conduttore dei discorsi di chi il terremoto l'ha vissuto sulla pelle, nella testa, nel cuore. Non riuscire a dormire o a mangiare senza che sopravvenga quella strana sensazione di ansia e di angoscia dell'imprevedibile. Ed è facile che i bambini affrontino meglio dei genitori quello che non si riesce a dire. Non dimenticherò mai gli occhi in lacrime di una mamma che non sapeva come comunicare alla bambina che la sua compagna di banco non c'era più. I sintomi che aveva non erano solo dovuti ad una allergia, forse l'aveva già capito da sola.

E comunque la vita continua. Il racconto dell'ostetrica che ha assistito la bambina nata durante il terremoto mi è sembrato commovente come una favola. Quando il tempo lo consente poi c'è lo spazio per una partita di calcio con i ragazzi del campo. Per il resto, a causa di frequenti nubifragi, i volontari della Protezione Civile sono costantemente al lavoro per mantenere in efficienza le tende, soprattutto in un Ospedale da campo dove le infiltrazioni d’acqua mettono a rischio strumenti e macchinari. Ma questi volontari, ogni tanto si fermano? La partecipazione è straordinaria.

In ogni caso, fiducia! Prima o poi tornerà a risplendere il sole.
Con il passare dei giorni anche il cosiddetto sciame sismico si sta riducendo. Qualche mamma racconta di rientri in casa, ma solo per prendere qualcosa di personale. Il sogno di tutti è una cena nella propria cucina, con la famiglia, tutto come prima.
Al mio rientro non posso non essere felice di quello che ho, dell’esperienza vissuta, con la voglia di ritornare. Momenti: sensazione, la paura; disagio, i servizi igienici; desiderio, l'intimità; speranza, la partecipazione.

Alberto Testa
fotogallery (foto di Rosario Incarbone)

Il Sermig raccoglie fondi per i terremotati

 

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