Santi o santini

Pubblicato il 31-08-2009

di Redazione Sermig


Il dibattito sulla santità, continuamente ripreso dal magistero della Chiesa, è apparentemente fuori moda, sorpassato, surclassato da modelli e stili di vita veicolati massicciamente dai media. C’è però una santità del quotidiano che è trasversale, che appartiene a tutti, non credenti e credenti. Sono figure di persone che vivono accanto a noi, con noi e che lasciano il segno perché vivono una normalità tanto straordinaria quanto vera.

di Ernesto Olivero

 

 Oggi la parola santo fa paura. Sembra che per essere santi si debba essere eccezionali 24 ore su 24, non sbagliare mai niente, avere sempre una risposta da dio. Penso invece che se dal cielo ci regalassero una statistica aggiornata delle persone che hanno raggiunto la Casa del Padre ci accorgeremmo che i pubblicani e le prostitute sono arrivati lì prima di tanti altri. Credo per esempio che tra le categorie dei ferrovieri e tranvieri ci siano molti giusti che dritto di filato approdano nel quartiere dei santi in paradiso, perché hanno fatto pagare il biglietto a tutti quanti senza eccezione, ma hanno anche pagato il biglietto di tasca loro a qualche povero cristo che non poteva permetterselo.

Penso anche che molti esattori delle imposte arrivano alla pensione senza aver messo niente da parte perché si sono comportati onestamente, senza pretendere bustarelle per applicare le agevolazioni di cui erano a conoscenza.

In fondo non bisogna aver praticato virtù eroiche per essere santi. Dare la giusta mercede agli operai non credo sia una virtù eroica. Rilasciare la ricevuta fiscale quando si riscuote la parcella per una visita medica non credo sia una virtù eroica. Certo chi si comporta in questo modo non arriverà a godere di stipendi faraonici. Mi chiedo però se sia giusto avere stipendi faraonici in un contesto in cui molti giovani non trovano lavoro o fanno lavori precari. Chi crede in Dio non è agevolato, ma anche chi non crede non è agevolato. Abbiamo tutti una marcia in più. Marcia in più è essere un po’ più buoni, più sinceri, sempre e non solo quando si ha voglia. Se io che non ho la fede, oppure io che ho la fede, riuscissi in modo naturale a farmi gli affari degli altri, a pensare agli altri, forse questo farmi i loro affari mi farà diventare santo, chi lo sa!

Credo sia il tempo in cui noi che crediamo o non crediamo dobbiamo provare a diventare buoni e per nulla bugiardi. Il guaio è che siamo convinti che solo facendo i furbi e raccontando bugie si è qualcuno. Questo stile di vita ha reso il mondo peggiore. Nella mia vita ho incontrato molte persone che il mondo considera grandi. Posso testimoniare che ho incontrato dei grandi, grandissimi personaggi della politica che sono vissuti da persone normali, che non hanno riempito di privilegi i loro figli. Ho incontrato personalità eminenti nella Chiesa e vi assicuro che non hanno una lira in tasca e non hanno tempo a frequentare salotti e salottini. Ho incontrato dei grandi fra i giovani, tra la gente che frequenta la Chiesa come tra quella che non la frequenta, ma è gente che è sempre pronta a darti una mano per i poveri.

Conosco madri e padri di famiglia che in modo normale si tolgono il pane di bocca per i loro figli e per i figli degli altri. Un detto popolare afferma che anche i bancari hanno un’anima. Ho conosciuto, amato, apprezzato alcuni di loro, uomini giusti, fatti di pasta buona, con idee buone e un cuore buono. Non mi pare che frequentassero molto la chiesa, ma mi pare, anzi ne sono certo, che frequentassero la rettitudine, la mitezza e questo per essere santi basta e avanza. Sono convinto che Dio è giusto e che non può aver fatto me fortunato perché ho la fede e un altro sfortunato perché non ce l’ha. Entrambi, se ci facciamo gli affari degli altri, alla fine della vita ci sentiremo dire dal Signore: “Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi.”

Torino 25 novembre 2005
Ernesto Olivero

 

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