Scelta o salto

C’è chi rifiuta di essere cristiano perché pensa che la prassi cristiana impedisca di realizzarsi. Diverse sono le motivazioni che adducono i sostenitori di questa tesi.
Dal punto di vista intellettuale, essere cristiani significa, per taluni, rinunciare al libero esercizio della ragione per accettare a occhi chiusi ciò che non si comprende. Dal punto di vista del comportamento pratico significa imporsi inibizioni per la supina adesione a concezioni e costumi di epoche culturali precedenti. Dal punto di vista sociale essere cristiani significa sottomettersi a una precettistica morale che ignora e pretende impedire il libero giuoco delle leggi della politica e dell’economia.
Poiché il fatto esiste, bisogna pure interrogarsi sulle ragioni e cercare una risposta.
Conviene cominciare da un mea culpa.

Nel campo del pensiero guardando a Cristo, vediamo davvero colui che è Dio e contemporaneamente l’uomo nella sua pienezza? Mentre crediamo alla vita del mondo che verrà, crediamo anche che essa si prepara in questa esistenza terrena?

Guardando agli aspetti pratici, l’impegno per la giustizia sociale, per la liberazione, lo sviluppo e l’elevazione dei poveri, degli emarginati è sempre vigile e deciso come dovrebbe essere?
Ma non possiamo fermarci al mea culpa.
Essere cristiani, nei fatti e non nelle parole, significa fare un salto di qualità, significa potenziare l’attività umana attingendo a forze che superano l’uomo: alla “grazia”, dono di Dio.
Negli Atti degli apostoli i primi cristiani cercano di realizzare un ideale di comunità in cui emergono i più alti valori umani. È troppo ottimistico pensare che se questo stile di vita, che nella Chiesa non si è mai perduto, rivivesse sempre più spontaneo e fresco in moltiplicate comunità di fratelli, non pochi che ora esitano di fronte a quella che vedono come una “scelta” si deciderebbero a fare un “salto”?


Michele Pellegrino
NP giugno / luglio 2023
(stralci da Progetto (ora NP) 1978 n. 10)